lunedì 21 dicembre 2015


Per essere uniti e non divisi.
Per trovare pace nel nostro cuore.
Per evolverci.
Per raggiungere l’armonia interiore.
Per poterci amare davvero.
Perché questo Natale non sia apparenza ma un momento di riflessione.

Buone Feste

martedì 15 dicembre 2015

L’incubo Figurella

Finalmente l’incubo Figurella è finito. Ora che sono uscita dal “tunnel dei pagamenti”, desidero raccontare la mia esperienza con questa azienda a tutte le donne. Premetto che non è mia intenzione diffamare; i fatti, così come si sono svolti, senza nessun ricamo, parlano da soli.
La storia è lunga e finisce in un solo modo: MAI PIÙ Figurella. Ma leggete tutto...
La mia esperienza inizia il 6.11.2012, quando ho deciso (maledetto quel momento!) di fare un contratto con l’azienda TRE s.r.l. (Figurella) con sede in Via Pacinotti 1 - 31020 Villorba di Treviso per delle sedute nella filiale di Paese.
Ho fatto la prima seduta dopo aver ricevuto un buono omaggio. Fin da principio non ero convinta ma, visto che avevo fissato l’appuntamento, ho deciso di provare. Ho trovato la prima seduta inutile: quindici minuti di attività fisica che nemmeno mi hanno fatto sudare. Dopo il trattamento, la consulente mi ha proposto il pacchetto e io ho subito chiarito che avevo molti dubbi in proposito, ma che ci avrei pensato. Mi sono successivamente documentata su internet, leggendo casi di persone insoddisfatte del servizio e, come accordato, ho confermato telefonicamente che non ero interessata. Qualche giorno più tardi sono stata richiamata e mi è stata offerta una settimana gratis, per provarmi che sbagliavo e che il trattamento era efficace.
Ho deciso di accettare e fissato tre appuntamenti per quella settimana. Premetto che in quel periodo stavo vivendo una serie di problemi personali e, a causa di questi, certi giorni mangiavo molto poco; in quel periodo ero anche fuori forma, non facendo attività fisica da oltre due anni.
Dopo aver eseguito i tre allenamenti, in effetti ho visto una variazione di peso che mi ha lasciato soddisfatta e, vuoi per la pressione dell’operatrice, vuoi per altri motivi personali, ho deciso di firmare il contratto, nonostante in molti me l’avessero sconsigliato, per prima mia madre. Fin dall’inizio ho detto chiaramente che non avrei seguito nessuna dieta e mi è stato assicurato che il metodo avrebbe funzionato ugualmente, altrimenti sarei stata rimborsata.
Ho fatto tutti i documenti necessari e mi è stato fornito solo un foglietto striminzito con il numero delle sedute e il prezzo. Del mio contratto vero e proprio non ho mai avuto una copia, ho dovuta chiederla io a mezzo raccomandata. Ricordo che è illegale non fornire ai clienti una copia del contratto.
Dopo due anni, nel gennaio del 2015, non sapevo esattamente quando sarebbero finite le rate del finanziamento. “Facciamo tutto noi, non preoccuparti”, mi dicevano, “non servono garanzie!”.
Ammetto di aver peccato di leggerezza in tutto questo, ma sono stati molto bravi a farmi sentire “a casa”, “tra amiche”.
Con le sedute previste nel mio pacchetto dalla folle cifra di 5.230,00 € dovevo coprire da novembre 2012 ad aprile 2014, secondo i calcoli dell’operatrice. Sono passata da uno stato sedentario a tre/quattro incontri settimanali con Figurella. I risultati nei primi mesi si sono fatti sentire e ho perso con facilità i primi chilogrammi, aiutata anche da alcuni giorni di dieta poverissima (autogestita). Ero soddisfatta e positiva. Ma già dopo poco tempo, le assistenti hanno iniziato a propormi nuovi contratti secondo i quali avrei allungato il periodo di tempo del finanziamento mantenendo la rata inalterata, però aumentando il debito. Per me 5.230,00 € erano e sono una cifra enorme per cui ho sempre rifiutato. Ciononostante queste continue “promozioni” hanno iniziato a infastidirmi.
Arrivata a metà del trattamento i chilogrammi scendevano molto più lentamente o non scendevano affatto. Verso la fine non dimagrivo più e i centimetri invece di calare erano aumentati leggermente. A ogni pesata mi sentivo ripetere che era colpa della mia alimentazione e del fatto che non accettavo diete da parte loro: io ero stata molto chiara all’inizio e, come scritto prima, avevo la garanzia del risultato a prescindere. Seguivo una dieta normale, inferiore alle 1600 calorie consigliate per una donna sedentaria, senza eccessi particolari, e con i tre allenamenti settimanali non perdevo comunque peso. 
Ho iniziato ad avere sfiducia: a mio avviso era impossibile perdere peso con soli 15/20 minuti di attività intensa in una teca riscaldata, a volte tanto intensa da creare capogiri. Per la durata del trattamento avevo il battito cardiaco ben al di sopra del limite previsto per la zona aerobica e accusavo dolori alla schiena a causa di determinate posizioni. Se provavo a lamentarmene, venivo redarguita, perché le esperte erano le allenatrici e non io. Il clima amichevole ai miei rifiuti di prolungare i trattamenti stava via via scemando. In aggiunta a questo, mi sentivo colpevolizzata per i mancati risultati e, come se non bastasse, ogni settimana mi riproponevano il rinnovo del contratto. Figurella mi faceva sentire sbagliata.
Molto sinceramente: non ne potevo più. Credo fosse palpabile perché mi consigliarono di interrompere i trattamenti, prendere una pausa. Ho accettato, dicendo che avrei provato una normale palestra e sono stata beffeggiata in pubblico. Mi hanno detto “tornerai da noi per riparare ai danni”.
Un mese più tardi ho iniziato una normale attività fisica e, seguendo il ritmo di tre sedute settimanali con un’alimentazione libera, ho perso peso già dopo pochi giorni. 
Il 7.1.2015, con il pressante fardello della rata mensile, ho richiesto tutti i documenti che non mi erano stati inviati prima via raccomandata, indicando che non avevo intenzione di continuare le sedute (ne mancavano una decina alla fine). Ho raccontato tutta la storia, così come oggi la scrivo a voi, e TRE s.r.l. mi ha risposto sempre mezzo raccomandata il 19.1.2015, mandando, come avrebbero dovuto fare subito, i documenti, e confermando che potevo concludere le sedute, grazie alla loro immensa disponibilità, entro il 31.3.2015. Nemmeno un accenno al “soddisfatti o rimborsati” tanto glorificato in fase di contratto né alla possibilità di avere un rimborso per le sedute non usufruite.
Per niente soddisfatta della risposta mi sono recata di persona alla sede di Villorba (TV).
La centralinista non ha voluto farmi salire se non dopo esasperanti tentativi. Vi rendete conto? Un’azienda che non riceve un cliente pagante. Follia pura. Ovviamente non c’era nessun responsabile con cui parlare nonostante il grande ufficio brulicasse di gente.
Ho mantenuto un tono calmo e tranquillo, cercavo il dialogo, e la risposta è stata “la faremo richiamare per fissare un colloquio”. Immagino ipotizziate già com’è finita: nessuno ha mai chiamato e le rate hanno continuato ad arrivare puntuali.
Ho parlato con due avvocati diversi e con un’associazione consumatori, ma purtroppo intentare una causa da sola era come cercare un ago nel pagliaio. Alla fine ho dovuto arrendermi, continuare a pagare fino all’estinzione del finanziamento, avvenuta a novembre 2015.
Care donne, questa è la mia esperienza. Una cosa che mi auguro di non ripetere mai più. Traetene le giuste conclusioni. Che sia da esempio per tutte quelle che hanno qualche chilogrammo di troppo e si sentano “tentate” da questo ambiente familiare, in cui le consulenti sono “amiche”, in cui i soldi non pesano perché le rate sono piccole e dove tutti gli allenamenti sono una “passeggiata” da 15/20 minuti.
Un gioco pericoloso che fa perno sull’autostima, che inculca terrore psicologico nel momento in cui non ti adegui più.
State a casa, donne, fate ginnastica sul tappetino davanti alla televisione, otterrete gli stessi risultati. E poi, amatevi. Amatevi così come siete... non cedete alle aziende che vogliono lucrare sulla vostra salute fisica e psicologica.

sabato 14 novembre 2015

#PorteOuverte


Di quanto accaduto a Parigi mi ha avvisato un’amica via WhatsApp. Stava succedendo in quel momento. Ho cercato prima sul sito dell’Ansa, poi mi sono sintonizzata sul telegiornale in diretta e lì sono rimasta fino alle quattro del mattino. Prima era un tranquillo venerdì sera, mi stavo concedendo un po’ di relax mentale davanti a un videogioco, poi le bombe, il sangue, la morte. So che Parigi è lontana e che né io né nessun conoscente, per fortuna, siamo rimasti coinvolti, ma quanto accaduto mi ferisce profondamente. Mentre ieri notte ascoltavo le notizie, mi sono messa nei panni di quelle persone, magari una ragazza come me che per svagarsi un po’ ha deciso di andare a prendere un caffè proprio in una delle zone attaccate. Un’esistenza normale, banale forse, e poi stop. La morte così, all’improvviso. Una guerra che credevamo non ci appartenesse, che fosse distante e non potesse toccarci in alcun modo. Terribile.
E adesso? Adesso il caos. Forse proprio quello che l’Isis si aspettava: seminare panico, creare odio.
Cerco di capire senza giudicare nessuno. Leggo quello che passa in rete. Chi grida sentenze contro tutto il mondo islamico, chi cerca di fare ordine chi, come me, è confuso, stordito.
Sono morte tante persone e, per qualche motivo, le sento. Provo quel dolore come se fosse mio... e in effetti è mio. È di tutti. Domani potrebbe accadere qui. Domani potrebbe accadere a me, ai miei cari.
Allora cerco di sfuggire al caos mentale, di andare “più in alto”, di comprendere. Emerge solo una cosa: così non si può e non si deve continuare. C’è bisogno di un cambiamento radicale. Non parlo di lotta, di sicurezza, di religioni. Parlo di ognuno di noi, nel nostro piccolo. Perché alla fine noi siamo i governi, noi siamo i politici, noi siamo le religioni. Tutto accade perché noi siamo. Noi stiamo sbagliando. Tutto.
Nel mio minuscolo angolo, rifletto. Dovremmo riflettere tutti. Dovremmo aprirci a un cambiamento vero e radicale, mettere da parte l’odio e fare qualcosa di diverso, a partire dalle azioni quotidiane.
Dobbiamo.

Immagine presa da http://www.huffingtonpost.it/

martedì 3 novembre 2015

Mamme e lavoro: dalla parte dell’azienda

Qualche giorno fa, una certa Paola Filippini ha scritto uno sfogo sulla propria pagina Facebook, ora questo post è diventato virale. Premesso che tutto ciò che diventa virale andrebbe preso con le pinze e che nessuno può provare che questo fatto sia effettivamente accaduto e nei termini descritti dalla signora, tutto il web parla della storia e migliaia di donne inferocite alzano il dito contro il mondo maschilista e ingiusto.
In poche parole, questa donna si è recata a un’agenzia immobiliare per un colloquio di lavoro e il responsabile le fa fatto la fatidica domanda sulla sua vita privata: sei sposata? Convivi? Hai figli? Paola si è rifiutata di rispondere, e l’uomo l’ha praticamente cacciata.
Tutta la vicenda è stata raccontata con toni abbastanza drastici, riferendo persino il colore del maglione “verde lega”. Ovviamente quando l’ha scritto la donna era infuriata e si è appigliata a ogni dettaglio per screditare l’uomo.
Premesso che la maleducazione non è scusabile, e da questo punto di vista il responsabile è in torto, ai fini pratici del lavoro, la domanda sullo stato civile è più che corretta.
Perché? Semplice, perché se io ho un’azienda, magari piccola e nata da poco, devo capire chi sto mettendo a lavorare per me. Devo capire oltre alle sue qualità, che possono essere eccelse come quelle di qualunque altra donna o uomo, la sua disponibilità fisica, le ore che può dedicarmi, gli straordinari, la possibilità di lavorare nei weekend.
Forse, molti di quelli che hanno urlato allo scandalo non si rendono minimamente conto dei rischi che si accolla un’azienda assumendo personale. Il personale (anche se con contratti precari) costa. Costa tantissimo! Una follia! I titolari non sono tutti ricchi sfondati che vanno al lavoro con la Porsche. Nella maggioranza dei casi guadagnano poco più del dipendente che vanno ad assumere, e hanno cento volte le sue responsabilità. Assumere un dipendente che non può, per ovvi motivi, fermarsi oltre l’orario di lavoro, magari a causa di un ordine improvviso, oppure che non può andare in trasferta o arrivare mezz’ora prima al mattino in caso di necessità, è un rischio enorme al giorno d’oggi, dove il mercato non è più quello stabile di un tempo, ma si muove di continuo, dove anche i dipendenti devono essere flessibili.
Attenzione, perché non sto dicendo che le mamme non hanno il diritto di lavorare, tutt’altro. Dico che è giusto, corretto e ragionevole per un’azienda sapere chi va ad assumere. Solo allora potrà capire e valutare i pro e i contro.
Una mamma ha sicuramente maturato doti e qualità che una donna senza figli non può avere, al contempo ha delle responsabilità e dei doveri nei confronti del figlio. Per ovvi motivi non può fare determinati turni o orari e, in caso di un problema familiare, metterà sempre prima il suo bambino dell’azienda. Cosa che, probabilmente, una single non farà.
Tutti questi fattori non si possono ignorare. Al giorno d’oggi, dove qualunque errore si paga a carissimo prezzo, un’azienda deve soppesare ogni briciola. Soprattutto quando si parla di personale esterno.
Quello che io non comprendo, è perché le donne con figli si sentano discriminate. Voglio dire, quando siete diventate mamme lo sapevate perfettamente che la vostra vita sarebbe cambiata, quindi, perché urlare allo scandalo? Avete fatto una scelta radicale consapevolmente. Dovreste esserne fiere. Io probabilmente non sarò mai mamma ma, se decidessi di esserlo, capirei i miei limiti, perché la scelta è stata mia. Certe libertà con i bambini semplicemente svaniscono. Punto e basta. Inutile filosofeggiarci sopra. Una madre deve muoversi al ritmo del figlio, perlomeno fino a una certa età. Questo è incompatibile con parecchi lavori, fine della discussione.
Tornando a Paola Filippini, eliminata l’eccessiva enfatizzazione sulla maleducazione, il ritardo (sicuramente deprecabili) e gli altri dettagli che poco avevano a che fare con il nocciolo del discorso, il responsabile si è limitato a fare una domanda standard e sensata. La donna non ha risposto, l’uomo ha strappato la scheda di lavoro. Probabilmente per lui quell’appuntamento è stato solo una perdita di tempo. Forse, se Paola avesse risposto e il colloquio fosse andato avanti, avrebbe potuto mettere in evidenza i suoi punti di forza, come donna e mamma, e passare la selezione. Ma Paola era prevenuta fin dall’inizio, lo dice lei stessa: “E' SUCCESSO DI NUOVO, ED E' ORA DI DIRE BASTA.”
Io di madri con due e più figli in posizioni lavorative di prestigio le ho viste. Responsabili di alto livello che sono riuscite a coniugare al meglio lavoro e famiglia. Non è impossibile. Personalmente, questo sfogo mi sembra quello di una ragazzina e non di una donna motivata a lavorare.
Perché una cosa è vera: soprattutto nei colloqui, l’atteggiamento è tutto. Se io fossi stato quell’uomo e mi fossi trovata nella stessa situazione, forse non avrei fatto il gesto teatrale di strappare la domanda (sempre se è vero), ma di certo avrei scartato a priori una persona tanto polemica.

Vignetta di Virginia Temofonte

mercoledì 23 settembre 2015

Aggiornamenti

Sono ancora viva, giuro! (E qui molti imprecheranno. Ho giusto in mente almeno tre o quattro nomi.)
Gli impegni sono tanti e si preannuncia un autunno da urlo. Venite a trovarmi?

26-27 settembre
Treviso Comic Book Festival

10-11 ottobre
San Donà Fumetto

17 ottobre
CartaCarbone Festival
Loggia dei Cavalieri - TV ore 12.00-14.00
Presentazione libro all'interno del programma "Poster"

5 dicembre
Biblioteca Comunale Gavorrano (GR)
Piazza XXIV Maggio
Ore 17.30
Presentazione libro

Vi aspetto!




giovedì 3 settembre 2015

Essere a casa

Che cos’è davvero la casa? Non parlo di una casa fisica, s’intende. Essere a casa equivale a sentirsi perfettamente “centrati”, in armonia con il nostro cuore e con il nostro progetto di vita. Felici, nonostante tutto. Il lavoro va male, l’amore non c’è, i soldi mancano. Felici. Essere a casa supera tutto. Il resto arriva dopo.
Ci affanniamo per avere un posto di lavoro solido, un compagno affettuoso. Crediamo che la felicità possa essere data dalla famigliola perfetta e un bel bebè, oppure dalla ricchezza o dal lavoro dei nostri sogni. Non guardiamo la strada, crediamo che la completezza sia data solo dall’arrivo.
Dimentichiamo il semplice ma vitale concetto del sentirsi a casa. La casa non è il lavoro, non è la famiglia, non sono i figli. La casa siamo noi. Noi siamo la cosa più importante. E se noi non siamo a casa, se non ci sentiamo completi e in armonia, non potremo offrire niente agli altri. Il nostro amore sarà sempre parziale, così come la nostra energia. Offriremo una presenza “avariata” e cercheremo fuori quello che non abbiamo dentro.
Dovremmo smetterla di guardare l’orologio in attesa dell’arrivo e goderci quel panorama dai finestrini. Facile a dirsi, vero?
Fino a qualche mese fa cercavo disperatamente l’amore. Ora non mi importa più. So che devo stare sola perché soltanto da sola potrò “tornare a casa”. Che senso avrebbe una relazione se io mi sento persa? Troverei un altro naufrago che non farebbe altro che portarmi sempre più alla deriva.
Casa non è libri, non è grafica, non è lavoro. Ho stupidamente dato ad altro e altri il ruolo di farmi sentire a casa, ma nulla ha questo potere.
Solo noi possiamo “tornare a casa”. Io sento che la mia è vicina.

Vignetta di Cavez.

mercoledì 29 luglio 2015

Siamo la generazione della “colma”

Bande di scippatori prendono possesso di Roma Termini, bambini vegani muoiono denutriti, politici corrotti, il latte fa bene, il latte fa male, immigrati assaltano treni, olio di palma tossico. Questi i titoli principali se sfoglio la mia bacheca di Facebook. Notizie vere, notizie false, notizie ambigue.
Un medico rinomato conferma una teoria, un altro la smentisce. Prendiamo il latte ad esempio. C’è chi dice che è tossico e bisogna starne alla larga peggio della peste, chi dice l’esatto opposto. Ricercatori illustri da entrambe le parti.
Io, sinceramente, non so a chi credere. Tra me e me penso: “Bisogna pur morire di qualcosa, preferisco annegare in un tiramisù.” Ma se lo avete notato anche voi, in generale ormai non si sa più chi o cosa ascoltare. Ho la sensazione che il mondo sia allo sbando, in una totale confusione.
Il vecchio, così come lo conosciamo, sta morendo e il nuovo fa tanta, troppa paura. La gente non è pronta. Regna il caos.
Non esiste più il concetto di famiglia come lo era ai tempi dei nostri nonni, non esistono più i ruoli uomo/donna, non esiste più il lavoro fisso, non esistono più le sicurezze alimentari né quelle mediche. La sanità fa schifo, internet è meglio dei dottori e così via.
Noi, poveri umani, siamo sballottati tra un’ideologia e l’altra, arranchiamo nel vuoto senza sapere dove vogliamo andare. Ci hanno tolto i punti fermi e questo continuo mutare ci manda in tilt.
Più mi guardo attorno, più vedo cose che non vanno, più vedo situazioni sull’orlo del tracollo. Eppure non c’è il coraggio di distruggere per rinnovarsi. Buttare il vecchio una volta per tutte e tuffarsi nel nuovo. Far cadere il governo, cambiare alimentazione, adattarsi a nuovi concetti di famiglia, diventare un mondo e non uno stato. No... non ce la facciamo. La mia generazione è quella della “colma”, noi moriremo disadattati per lasciare, forse, alla generazione successiva il primo passo.
Più osservo quello che mi circonda, più vorrei isolarmi, vivere nel mio universo. Fare scelte individuali, schierarmi con me stessa e non con un’ideologia. Vegani, non vegani, gay, non gay, diversi, di destra, di sinistra... stiamo bollendo in un brodo denso e colloso, mentre qualcuno, con un mestolo, cerca di buttarci sotto.
Certe mattine mi alzo e la prima cosa che faccio è cercare qualcosa da leggere, per capire se sono davvero sveglia o sto ancora sognando. Questa realtà si sta piegando su se stessa.

“Che vuol dire reale? Dammi una definizione di reale. Se ti riferisci a quello che percepiamo, a quello che possiamo odorare, toccare e vedere, quel reale sono semplici segnali elettrici interpretati dal cervello. Questo è il mondo che tu conosci. Il mondo com'era alla fine del ventesimo secolo. E che ora esiste solo in quanto parte di una neuro-simulazione interattiva che noi chiamiamo Matrix. Sei vissuto in un mondo fittizio, Neo.” [Matrix]

domenica 28 giugno 2015

New Adult, emancipazione, androidi e risotto

Mentre mi mangiavo da sola il mio risotto, riflettevo. Un risotto allo zafferano troppo scuro, colpa del vino rosso usato al posto del bianco. Pensavo di dargli un nome esotico tipo “fantasia di zafferano e barolo”, anche se il vino rosso era di tipo ignoto, e postarlo su Instagram. Poi ho lasciato perdere. Comunque era molto buono. Dicevo, stavo ponderando... in un periodo non facile e di grande confusione personale riflettevo sui New Adult, genere letterario inventato ultimamente dalle case editrici. Per chi non lo conoscesse, e ammetto che nemmeno io conoscevo questo termine fino a un mese fa, si tratta di racconti indirizzati a un target dai 18 in su, perlopiù storie romantiche che non disdegnano abbondanti scene erotiche. Cinquanta sfumature di grigio ha battezzato il filone, il marketing ha fatto il resto. Che fortuna!
Questi racconti, che stanno sbaragliando i vecchi Young Adult (dove il target era più adolescenziale), stanno letteralmente invadendo il mercato.
I New Adult rosa vanno per la maggiore e le storie, scritte più o meno bene con dettagli più o meno originali, di massima seguono il copione “lei ingenua ragazza della porta accanto, lui bel tenebroso incompreso e pericoloso”. Di mezzo solitamente ci sono eventi traumatici del passato, ma in sostanza una buona fetta della storia si svolge in camera da letto, dove lui, passionale e quasi violento, inizia lei a nuove “attività”. Lui la vuole e non la vuole, lei lo odia ma lo comprende... e così via.
Molti li chiamano i nuovi Harmony, ma qui non posso dire nulla perché non li ho mai letti. In effetti, evito come la peste anche i rosa fine a sé stessi. Io amo le storie complesse e intricate, impregnate di fantasia. Poi può esserci la gatta morta come il figo che se la fila, ma la storia deve sempre avere lo spazio maggiore.
Arrivata a metà piatto ho iniziato a pensare: “Ma perché a tante donne piacciono questi libri? Cosa ci trovano?” La risposta è abbastanza ovvia: uomini così non esistono nella vita vera e le donne sopperiscono la mancanza con la finzione. Stanno sul letto a vagare con l’immaginazione, pensando di essere l’Anastasia di turno. E a chi non piacerebbe? Però troppo spesso questi libri romantici sfociano in una vera e propria violenza sulle donne, sia essa fisica (magari consensuale) o psicologica. Questi Grey sono possessivi e leggermente psicopatici, in balìa dei loro istinti e traumi. Pensandoci a mente fredda, senza le suadenti smancerie delle autrici, tali uomini andrebbero portati da uno psicologo, e bravo, non a letto! Le ragazze lo sanno ma continuano a leggere. Perché?
Ho pensato quindi alla storia del femminismo, all’emancipazione della donna sudata per secoli. Noi ora possiamo vivere da sole, mantenerci, cucinarci il risotto e decidere in autonomia di non sposarci o avere figli. Eppure una piccola parte di noi desidera ancora essere dominata. Si parla di sesso, certo, ma questa cosa, nonostante tutto il femminismo del mondo, ce la portiamo nel DNA.
Noi vorremmo l’uomo deciso, intraprendente, figo, ricco, ma al contempo sensibile, attento ai nostri bisogni, delicato e amabile. Noi in pratica vogliamo un’utopia. Dovremmo ficcarci in testa che uomini così non esistono. Forse qualcuno c’è, ma uno su un milione. La nostra evoluzione ha fatto sì che anche i signori uomini cambiassero. Da padri padroni si sono visti portare via le decisioni, la famiglia e, soprattutto, il lavoro. Loro provvedevano alla brava mogliettina materna, loro avevano il potere. Ora no. Adesso al massimo si fa in due. Tutto è alla pari. Ovviamente un uomo moderno si aspetta che al primo appuntamento la donna paghi metà del conto e che le rose se le compri da sola. La galanteria è morta... perché, in effetti, a cosa serve? Un tempo l’uomo faceva mille gesti per conquistare, per arrivare alla fatidica notte del sì. Ora sono le donne a provarci. Perché mai dovrebbero sprecarsi?
Care donne, abbiamo creato dei mostri.
Finito il risotto, mi sono chiesta cosa si potesse fare ora per rimediare, a parte leggere storie inverosimili e comprare giocattoli erotici (e solo quest’ultima affermazione meriterebbe pagine e pagine di riflessioni... perché le signore che comprano i New Adult molto spesso poi fanno le santarelline con argomenti tipo “porno” e “sexy toys”). Insomma, una come me, indipendente e orgogliosa di esserlo, che ama follemente la sua libertà, come può avere un uomo tipo quello dei libri?
È davvero solo utopia? Mi devo rassegnare?
Beh... l’unica cosa che mi è venuta in mente, e che tra l’altro si sta già inventando, sono i robot. Un Sims in formato umano, a cui impostare il livello di libero arbitrio, e una serie infinita di programmi opzioni. State ridendo, vero? Pensateci per un attimo, non è forse una fantasia della stessa portata di un uomo figo, ricco, seducente, tenebroso, affettuoso e sensibile? In questa ottica non è poi tanto assurdo.
Insomma, voglio un androide come quello inventato da Yuu Watase in Assolutamente lui.
Commentate donne, ditemi la vostra... ma soprattutto voglio sentire l’opinione degli uomini! :)

martedì 23 giugno 2015

Estratto...


C’era un angolo della stanza che non mi piaceva, dove l’ombra dell’armadio sul muro si univa a quella delle mensole, creando una sagoma inquietante. Si trattava senz’altro di una sciocca suggestione, che però, a volte, non mi permetteva di respirare. Nel silenzio assoluto della notte, quando anche i rumori che provenivano dall’esterno si quietavano, i miei occhi cadevano su quel punto, e l’ansia mi assaliva. Bastava uno scricchiolio a farmi saltare sul letto. Il chiarore del soffitto aveva il potere di renderlo meno spaventoso e placava la mia angoscia tanto da farmi dimenticare quel dettaglio.
D’un tratto riapparve: il brivido partì dai piedi per arrivare al capo, la gola si seccò e un senso di soffocamento mi schiacciò il petto...

Nero Assoluto

Prequel free.
Compra il libro! Disponibile in e-book o brossura.

lunedì 22 giugno 2015

Neo Genesis Evangelion - 22 giugno 2015

Neon Genesis Evangelion (Shin seiki Evangerion, lett. "Il vangelo del nuovo secolo"), anche noto come Evangelion o Eva, è una serie televisiva anime di 26 episodi creata nel 1995 dallo studio Gainax e sceneggiata e diretta da Hideaki Anno. Il primo episodio della serie è ambientato il 22 giugno 2015.
La storia si svolge a Neo Tokyo-3, una futuristica città che ha preso il posto della vecchia Tokyo dopo una catastrofe planetaria chiamata Second Impact. Il protagonista, Shinji Ikari, è un ragazzo reclutato dall'organizzazione paramilitare Nerv per pilotare un mecha gigante chiamato Evangelion e combattere in questo modo i nemici dell'umanità conosciuti come Angeli. Questa è in sostanza la trama della storia. 
A un primo sguardo potrebbe sembrare il classico anime pieno di azione e robottoni. Non è così.
Ho deciso di scrivere questo post perché ho amato, e amo, alla follia questa serie. Credo sia in assoluto il cartone con la miglior introspezione psicologica dei personaggi, dove ogni episodio porta a riflettere su sé stessi e la propria vita.
Ferite psicologiche, rapporti interpersonali problematici, lotte contro i propri turbamenti interiori sono solo alcuni dei temi presi in considerazione. Il passato traumatico di ogni personaggio prende vita e assume un ruolo importante negli eventi che si susseguono.
Ognuno ha una parte fondamentale e la storia, l’azione e il combattimento, è un pretesto per scendere in profondità nell’animo umano.
Se non l’avete ancora visto, vi consiglio caldamente di farlo. Ogni minuto merita la vostra attenzione.
Lascio il dialogo dell’ultima scena (che vedete nel video in inglese), una parte che mi fa puntualmente commuovere.

Shinji:
Ma certo! Anche questo è un mondo, una possibilità racchiusa in me. Il mio io attuale non è il mio io assoluto. Possono esistere molti me stessi. Ma certo! Può esistere anche un me stesso che non è un pilota di Eva.
Misato:
Pensando così anche il mondo della realtà non è affatto male.
Shinji:
Può darsi che il mondo della realtà non sia male. Però io odio me stesso.
Makoto:
A recepire la realtà come brutta e spiacevole è il tuo animo.
Aoba:
Il tuo animo che cambia la realtà in verità.
Maya:
L’angolazione da cui guardi la realtà, la posizione da cui la cambi, bastano piccole differenze in ciò per causare grandi mutamenti nell’animo.
Kaji:
Esistono tante verità quante sono le persone.
Kensuke:
Però, la tua verità è soltanto una, una nozione alterata da una visione del mondo ristretta per proteggere te stesso, una verità distorta.
Toji:
La visione del mondo che una singola persona può avere è minuscola.
Hikari:
Eppure, le persone non possono che misurare le cose secondo questo loro piccolo indice.
Asuka:
Non possono che osservare le cose attraverso le verità date dagli altri.
Misato:
Allegria nei giorni di sole.
Rei:
Malinconia nei giorni di pioggia.
Asuka:
Se così ci viene insegnato, di questo ci convinciamo.
Ritsuko:
Ma anche nei giorni di pioggia potrebbero esserci cose piacevoli.
Fuyutsuki:
La verità che è dentro le persone è cosa tanto fragile da cambiare totalmente nel solo modo di riceverla.
Kaji:
Tale è il livello di verità degli esseri umani. Anche se proprio per questo si desidera la conoscenza di una verità più profonda.
Gendo:
Semplicemente è solo che tu non sei abituato a piacere al tuo prossimo.
Misato:
E quindi per questo non è necessario preoccuparsi tanto degli sguardi degli altri.
Shinji:
Però, non mi odiano tutti?
Asuka:
Ma sei stupido? Non è soltanto che ti sei autonomamente convinto di questo?
Shinji:
Però, io mi odio.
Rei:
Le persone che odiano se stesse non sono in grado di amare né di credere nel loro prossimo.
Shinji:
Io sono un vigliacco, un codardo, un vile, un debole.
Misato:
Conoscendo sé stessi si può essere gentili, non è così?
Shinji:
Io, mi odio.
Shinji e Asuka:
Però, forse potrei riuscire a piacermi.
Shinji:
Forse potrei riuscire a esistere. Ma certo! Io non sono altro che io. Io sono io. Voglio essere io. Io voglio stare qui! Per me è possibile esistere!


sabato 13 giugno 2015

Consigli per gli acquisti: Unchanged e Antiworld

Oggi vi presento Unchanged e Antiworld della talentuosissima Vittoria Serena Dalton.


Iniziamo con Unchanged, ovvero il primo libro che, secondo me, potrebbe tranquillamente considerarsi autoconclusivo. Infatti Antiworld, il secondo,  narra la storia successiva, ovvero quello che accade dopo qualche anno.

“Il sangue. È sempre una questione di sangue. È il vero inizio e la vera fine di tutto.” 

Nella Varsavia della Seconda Guerra Mondiale, il giovane Damian stringe un patto con Sylvia: in cambio di un grande potere diventa un demone. Il favorito della Morte. Quando si accorge di non aver ottenuto ciò che desidera, non può più tornare indietro. Ormai Damian ha soltanto un modo per salvarsi. Qualcosa che va oltre la morte, al confine dell’amore. Qualcosa per cui non è ancora pronto. Almeno finché un giorno, passati decenni, non incontra una curiosa ragazza di nome Sol e il suo gruppo di amici. E la prospettiva con cui guarda il mondo inizia a cambiare. 

Dalla Londra più eccentrica al luogo più misterioso e inquietante di Parigi, per spezzare una catena di sangue lunga secoli, Damian dovrà affrontare la sua paura più grande. Un nemico che teme persino più di Sylvia e della dannazione eterna.

Perché mi è piaciuto:

Gli aspetti sono molteplici. Innanzitutto perché Vittoria ha uno stile squisito. È attenta ai dettagli e nulla è scontato. Pur essendo italiana, racconta di Londra come se ci abitasse da sempre. Riesce a parlare di argomenti molto complessi come se descrivesse un tè con le amiche. Vittoria Serena Dalton è una grande scrittrice e, a oggi, mi sembra incredibile che una famosa Casa Editrice non l’abbia ancora notata.
Lo ammetto, Damian, il suo protagonista che io ho ribattezzato Gigi, lo ucciderei... ma non è proprio questa la bravura? Riuscire a farci provare emozioni contrastanti per i personaggi non è cosa da poco.
Il finale è una grande, immensa sorpresa. Non posso dirvi nulla perché vi condizionerei... solo un appunto: LEGGETELO!

Come leggerlo:

Sia in versione ebook al prezzo minuscolo di 1,99€ o cartaceo a solo 9,88€ su Amazon. Approfittatene ora con l’edizione appena revisionata. 



Un breve estratto:

Mi interruppe, con un bacio. Rubato, fugace. Non sensuale, soltanto dolce come una carezza al miele. Quindi si allontanò di un passo. A un tratto una sensazione per nulla piacevole m’invase. Anche Catrinel s’irrigidì. 
«Devi andartene» mi ordinò. I suoi occhi iniziarono a mutare, la sua energia ad aumentare vertiginosamente. Pronunciava delle parole che non capivo, non ne ebbi il tempo. «Adesso so perché la nostra più giovane vrăjitoare si è innamorata di te: è davvero belliss…» Le parole si confusero, divennero reflui leggeri che mi raggiunsero appena, quasi provenissero da un luogo lontano. Poi fui investito da un bagliore accecante. Travolto da un maremoto di energia, fui sbalzato all’indietro a una velocità incalcolabile. Il volo contro il muro di poco prima non era stato niente a confronto. Chiusi gli occhi avvertendo l’atmosfera intorno a me rarefarsi. Mi sentivo liquefare, come se la materia del mio corpo si stesse disgregando in una miriade di particelle microscopiche fino a disintegrarsi del tutto. Non percepivo nemmeno il mio istinto d’Ombra. Volai all’indietro come se stessi percorrendo a tutta birra le Montagne Russe. Ma un’infinità di volte più veloce. In quegli istanti, che mi parvero l’eternità tutta insieme, credetti di esplodere. Invece terminai la corsa con un gran botto: sbattei la schiena contro qualcosa di duro, per poi rotolare a terra e ritrovarmi con la faccia schiacciata in un manto morbido e umido. Erba.

Quando finirete Unchanged, avrete subito a disposizione Antiworld... eviterete così l’esasperante pulsione di dar fuoco all’autrice, come è accaduto a me un anno fa.



“Tra la notte e l'alba, quando il passato svanisce e il presente non è ancora futuro.” 

Di questo libro non posso raccontarvi troppo, già la sinossi è uno spoiler clamoroso, però posso sicuramente dirvi che è ambientato a Praga e che parla di viaggi nel tempo. Se siete appassionati come me di libri sul genere, non potete assolutamente perdervelo. Con una regia magistrale Vittoria riesce a unire passato, presente e futuro a miti e leggende.
Un libro intrigante e particolare che riuscirà a conquistarvi... a parte Gigi, che resta “pigna” anche qui! ;)

Buona lettura!


lunedì 8 giugno 2015

Era tecnologica

Lo so che tutti credono io sia un’affascinante ventiseienne. Lo so che la gente per strada mi dà al massimo ventinove anni. Però, ahimè, ne ho trentasei. A tutto questo ovviamente c’è una spiegazione logica: sono un vampiro.
Presto, come ogni Lestat che si rispetti, scriverò la mia autobiografia: “36 e dimostrarne 20 – La mia prima vita da vampiro”.
Forse per l’età, forse per la natura vampiresca, sto cominciando ad avere qualche attrito con la tecnologia. Vi siete mai chiesti: “Ma se i nostri nonni non sono in grado di usare uno smartphone, noi, alla loro età, per cosa saremo presi in giro dai nipoti?”
Io me lo sono chiesta, ma la risposta è arrivata fulminea: continua con tutto questo gelato e non campi fino ai cinquanta. Complicazione risolta.
Il vero problema è che i miei dilemmi iniziano già a trentasei. Parliamo di INSTAGRAM, questo bastardo sconosciuto.
Lo odio e lo amo. Ci siamo frequentati la scorsa estate per un mese circa, poi abbiamo rotto. E adesso si rifà vivo. Mi chiama. Mi vuole. Mi protette tanti cuori. Io cedo. Sto ore e ore sul cellulare a fare copia-incolla su un monitor minuscolo con le mie dita ciompe (e badate che ho il Note3!), inviando foto a profusione, sperando di soddisfarlo. È l’inizio di una travagliata relazione, lo ammetto.
Vi farò sapere come finirà... se dopo un’estate focosa ci rivedremo a settembre o se lo mollerò in tronco come l’ultima volta.

Benedetti social...

lunedì 25 maggio 2015

Ambire alla perfezione

Ho finito da poche ore la prima revisione di Nero Assoluto - Parte prima. Adesso è in pasto all'editor, per la seconda volta.
Perché lo faccio? Me lo chiedo pure io.
In realtà le modifiche sono state pochissime; puri dettagli stilistici, piccoli perfezionamenti. Nessuna variazione di trama o dialoghi, a eccetto di qualche parola.
In realtà amo perfezionarmi. Non voglio che i libri facciano la muffa senza aprirli mai più. So che alcuni autori dichiarano di non rileggere MAI le proprie opere finite, io non sono così.
L'altra sera, un conoscente ha fatto la battutaccia "se lo revisioni vuol dire che prima faceva schifo". In realtà, rileggendolo, l'ho trovato davvero molto bello. Alcune frasi mi hanno stupito positivamente, altre scene non le ricordavo più, tanto da chiedermi "ma l'ho scritto proprio io?".
In quest’ultimo periodo mi sto preparando a una grande pulizia globale e sto riflettendo molto. Voglio scardinare prepotentemente tutto il vecchio per lasciare entrare il nuovo. E non posso farlo se non sono certa di quello che deve restare.
Per questa ragione sto revisionando Nero Assoluto. Per la stessa, questa estate mi prenderò un periodo sabbatico e riscriverò completamente TRI. Ho paura in realtà, perché non voglio snaturare il senso e la genuinità della storia. Ma lo devo fare per me stessa.
I progetti letterari sono tanti, forse troppi. Tuttavia è giusto che riprenda a scrivere, a correggere, a plasmare il mio lavoro.
Sono una scrittrice. Non perfetta, certo. Conosco i miei limiti e, proprio per questa ragione, voglio superarli, ambendo alla perfezione. Posso farcela e lo farò.

Programma 2015/2016:

- Revisionare Nero Assoluto (in corso).
- Proseguire Figli del Sole, seguito (o spin off) di Nero Assoluto (scritte due pagine al momento, ma ho in testa almeno un altro capitolo).
- Finire Fission (scritte 90 pagine, previste almeno 400. L'idea c'è, ma la storia è così complessa che mi richiederà abbastanza tempo).
- Riscrivere TRI: una revisione globale dei 3 volumi in cui migliorare lo stile e inserire nuovi pezzi sulla storia di Ebdor (in programma per questa estate).
- Scrivere un compendio su storia e geografia di Ebdor (ne avrò davvero voglia? Vedremo).
- Scrivere il seguito di TRI, parlando delle terre non ancora esplorate (questo sì! Non vedo l'ora!).
- Vari ed eventuali racconti che mi frullano per la testa da un po’.

Oltre a tutto questo, inizierò a lavorare al mio sito ufficiale, che risponderà sempre a questo dominio. Lì saranno inglobati tutti i singoli siti dedicati ai libri.

Restate sintonizzati.

sabato 11 aprile 2015

Caro papà, grazie.

Noi non siamo mai andati molto d’accordo. Eravamo come cane e gatto: stesso orribile carattere, stessa cocciutaggine, opposta visione della vita. Due persone con una scorza dura certe di essere nel giusto. Tu amavi il concetto di “famiglia antica”, io volevo, e continuo ad ambire, la libertà.
Fin da quando ero una bambina, non abbiamo fatto altro che litigare. Urla, grida, tempeste di parole. Forse proprio per la prima caratteristica evidenziata: noi siamo ricci, persone difficili da conquistare e che preferiscono tenere tutto dentro.
Eppure ci sono stati dei momenti belli, in cui mi sono sentita compresa e fiera. Ricordo il giorno che sei venuto a montarmi il condizionatore con il tuo amico. Ero arrabbiata perché camminavate su e giù sopra al tappeto chiaro con gli scarponi. Avevate le mani sporche e lasciavate le impronte sul muro. Mi dava sui nervi il tuo amico. Però tu non ti sei lamentato. Hai portato quell’arnese pesante su per le scale e cambiato tutti i tubi. Due anni fa... se non ricordo male, era poco prima che ti diagnosticassero il cancro.
Poi ricordo la scorsa estate, quando pensavi di essere guarito. Sei venuto con me in un paesino sperduto della Slovenia per fare un mercatino. Era il 16 agosto e faceva un freddo cane. L’agosto più freddo degli ultimi anni. Guardavi con aria allucinata i ragazzi in cosplay e, all’ora della cena, mi hai portato un cartone con la pizza più indigesta del mondo. Quella giornata ha significato tanto per me. Nella tua vita solitaria seppur in famiglia, mi sono sentita vista.
Eh, lo so. Dovrei smetterla con queste “necessità da bambina”, perché ormai sono grande. Eppure quel giorno sono stata felice.
Ovviamente poi abbiamo litigato ancora e ancora. Forse sono arrivata a odiarti. Ma era un odio dettato dal bisogno.
Ora che non ci sei più, mi trovo a pensare a quei momenti con nostalgia. Sere come questa, ti rivedo nel letto con il fiato corto, mentre speravi da un lato di guarire, dall’altro che la morte ti portasse via.
Avrei voluto essere più sincera in quei giorni, dirti in faccia che non potevi guarire. Alla fine sono riuscita a chiederti solo cosa pensassi circa la vita dopo la morte, offrendoti la mia visione in cambio. Ora lo stai vedendo con i tuoi occhi. Mi dispiace per questa ipocrisia, è l’unica cosa che non mi perdono. Ma ora tu sai molte cose più di me e ricordi.
Ricordi la nostra vita precedente? Ricordi quando ci siamo già incontrati? Quando io ero il tuo mondo?
Alla fine anche questa vita è stata un battito di ciglia. E ci rincontreremo, già lo so. Un giorno mi addormenterò anch’io e mi risveglierò al tuo fianco... allora decideremo che nuova esperienza fare.
Forse mi sei venuto a cercare stanotte, ma non credo di essere ancora pronta. Ieri ho ricevuto un messaggio. Aspettami, ora che hai tutto il tempo, e viaggeremo ancora. È difficile scindere il ruolo che hai avuto in questa mia vita da quello che tu sei. Ho bisogno di tempo.
Per ora sei ancora il mio papà. Ho sempre pensato che le tue attenzioni per me fossero solo briciole. In realtà ora capisco che era tutto ciò che potevi darmi. Per questo ti ringrazio.
Una delle ultime sere, mentre ti avvolgevo con la mia energia, ti ho rivisto bambino, solo e triste. Come potevi darmi altro? Ora non sei più solo. Ora sei tutto.
Grazie, papà. Io sto ancora un po’ qui, poi ci rivedremo.

mercoledì 11 marzo 2015

Cartoomics 2015

Domani si parte per Milano! Vi aspetto allo stand K41 (zona Case Editrici) dal 13 al 15 marzo.
Il 13 alle ore 15.30 presso Agorà 1 (vicino allo stand) terrò, assieme a Elena Ticozzi Valerio e Vittoria Serena Dalton, una conferenza dal tema "Libri self di qualità: la nuova editoria".
Non mancate! :)


martedì 10 marzo 2015

Bufalari folli, indolenza e mancanza di opinioni

A quanti di voi danno fastidio le bufale che girano su Facebook e altri social? Mi riferisco a quegli articoli dai titoli scandalistici come “Trieste: asili, gioco del rispetto con toccamenti vari e travestimenti” o “Facebook a pagamento dal 2016!”.
A me davvero tanto e, con le notizie, chi le pubblica. Mi irrita che la gente condivida titoli allarmistici senza nemmeno degnarsi di leggere il contenuto e, in qualche modo, mi sento in dovere di verificare tali informazioni. Lo so, è un mio problema... potrei deliberatamente fregarmene e bannare questi individui. In fondo anche il mio “voler a tutti i costi rendere evidente la realtà” è una forma di protagonismo. In qualche maniera mi fa sentire superiore. Tuttavia questo “gioco alla bufala” mi porta a riflettere, sia su me sia su loro.
Perché la gente lo fa? Perché condividono articoli evidentemente falsi?
Ho chiesto ai miei amici e ho raccolto interessanti opinioni.
Da un lato abbiamo chi questi articoli li scrive: quasi sempre sono manovre di marketing create appositamente per “accalappiare gli allocchi” e generare traffico a loro favore. Ad esempio se scrivessi su questo blog un titolo tipo “Bollo auto illegale!” e invitassi la gente a non pagarlo (come una famosa bufala che gira da un po’), probabilmente avrei migliaia di visite in poche ore.
In altri casi abbiamo un semplice fenomeno di indolenza: leggo il titolo e lo trovo curioso, lo condivido in attesa che qualcuno cerchi per me e mi illumini. Sono troppo pigro per arrangiarmi da solo. Questa categoria potrebbe tranquillamente, a mio avviso, fare parte dei cosiddetti “vampiri energetici”, ovvero persone che, inconsciamente, attraverso la polemica su internet, assorbono l’energia altrui.
Oppure abbiamo i “deboli”, quelli che di prassi non hanno loro opinioni e allora si aggrappano a quello che leggono, impossessandosi di quell’idea. Di solito l’idea è il semplice titolo e trafiletto, perché leggere tutto l’articolo sarebbe troppo oneroso, per non parlare di ricerche ulteriori. Per questi personaggi internet e Google sono un mistero, la rete si riduce a Facebook. Anche volendo, non sono capaci (o fingono di non esserlo) di fare ricerche approfondite, spesso giustificandosi con la mancanza di tempo. Sono le classiche persone che condividono la bufala scrivendo “guardate che schifo! Chissà dove arriveremo”. In sostanza, hanno l’assoluta necessità di far vedere al mondo che ci sono, di sentirsi parte della comunità... un appello silenzioso per dire “esisto anch’io!”.
In ogni caso, questi articoli sono una brutta bestia: ci mettono l'uno contro l’altro, aizzano le persone verso qualcosa (immigrati, stato o altro) creando un circolo vizioso di malumore.
Perché ci continuiamo a fare del male? Perché proviamo godimento nelle notizie scandalistiche? Non si potrebbero condividere cose positive invece? Qualche cosa bella ogni tanto gira sui social, ma spesso è nascosta dalle bufale più eclatanti.
Credo che tutti dovrebbero farsi un esame di coscienza e domandarsi a cosa li porta il loro comportamento.
Per quanto mi riguarda, cercherò di “eliminare” tutte le persone che tendono a dare credito a scandali piuttosto che alla sana informazione.
Grazie a chi mi ha dato (e mi darà) la propria opinione.

mercoledì 25 febbraio 2015

Il male del secolo

Il male del secolo non è il cancro, ma sono i social network. Qualunque diavoleria tecnologica ci permetta di chattare ed essere al centro dell’attenzione. Probabilmente anche questo blog.
Lo dico dal punto di vista degli utilizzatori ovviamente. Uso Facebook, Twitter, Pinterest, Instagram, Google+, WhatsApp e pure qualche altra piattaforma. La prima cosa che faccio al mattino, quando suona la sveglia, è controllare Facebook ed e-mail, messaggi e tag. Lo ammetto: faccio parte del sistema e sono malata anch’io. Ma ci sono dei limiti, confini dettati dal buongusto e dall’educazione. Soprattutto dal rispetto per gli altri. Come disse Martin Luther King, “la mia libertà finisce dove comincia la vostra”.
Sembra, però, che in pochi capiscano questo concetto. Forse è troppo complesso, o forse le onde elettromagnetiche dei cellulari hanno iniziato già a fondere cervelli.
Questo pomeriggio mi sono concessa un cinema. Era da un po’ che non ci andavo e, prima che venisse tolto dalle sale, ci tenevo a guardare Jupiter. Se posso, scelgo il mercoledì per pagare meno. Ahimè, amo il cinema ma i prezzi stanno diventando proibitivi.
Nella sala c’erano solo tre persone e io mi pregustavo già l’eccellente visione... perlomeno fino a quando non sono arrivate due ragazzine intorno ai vent’anni, ovviamente in ritardo, e ovviamente sedute accanto a me nonostante la sala vuota. Sono riuscite a trattenersi mezz’ora ma, già prima che finisse il primo tempo, hanno acceso un cellulare per controllare i vari messaggi.
Lo odio. Sul serio: detesto profondamente chi usa il cellulare in sala, accecando gli altri.
Ho sopportato e, per fortuna, dopo un paio di minuti l’hanno spento. Al mio “alleluia” sussurrato tra i denti, si sono anche contrariate. Durante la pausa sono uscite e rientrate solo dopo che il film era ricominciato (ma va?). Terminati i popcorn, hanno ripreso a chattare sul malefico congegno.
Ho chiesto cortesemente di spegnerlo, e mi hanno guardato male. Ho detto loro di uscire se volevano usare il cellulare, e mi hanno ignorato. Mi sono alzata e avvicinata, intimando di mettere via quei cosi... niente. Ridacchiavano di me, replicando che “se mi dava fastidio, potevo spostarmi”.
Il film mi piaceva, per cui non mi andava di cercare un addetto e perdere quindici minuti. Avrei voluto semplicemente sopprimerle (e non scherzo), ma a Treviso è ancora illegale. Per cui mi sono limitata a camminare sopra a borse e piedi di entrambe e, con molta classe, rovesciare loro in testa i residui di popcorn. Ho concluso il film in ultima fila, soffocando l’istinto assassino, e sono tornata a casa (loro hanno usato il cellulare per il resto del film, a una è addirittura suonato in sala ed è uscita per rispondere. Le ho riviste poi fuori dal cinema, intente a fumare e chattare ancora).
Se fossi stata al loro posto (cosa molto improbabile), davanti alla prima lamentela mi sarei vergognata e avrei chiesto scusa. Sono stata educata così. Anzi, è più corretto dire che “io sono stata educata”.
Credo che questa piccola esperienza dica molto sia sulla droga che stanno diventando i social network - tanto da pagare un biglietto per poi chattare sul cellulare -, sia sull’educazione della nuova generazione.
Mi porta a riflettere. Sono davvero così fondamentali questi contatti? Di più rispetto a godersi un film con un’amica? È più importante vivere il momento e una bella compagnia o postarlo su Facebook?
Ripeto, uso i social e, in parte, sono anch’io una drogata, ma quello che vedo in giro mi preoccupa. Forse sarà l’età o la zitellaggine che mi inacidisce, eppure non tollero certi comportamenti.
Voi che ne pensate?

lunedì 23 febbraio 2015

Scienza e streghe

Parliamoci chiaro, io amo la scienza. Intendo la scienza come attività che analizza la realtà e i fenomeni che ci circondano per darne un senso in base a criteri ben definiti o all’esperienza diretta. Grazie a famosi scienziati la razza umana ha progredito. Basti pensare all’invenzione del microscopio o del telescopio, la vaccinazione, l’anestesia, i raggi X e tantissimo altro. Ogni giorno ci alziamo e possiamo godere di questa esistenza “comoda” grazie agli scienziati che l’hanno reso possibile. Mentre una volta l’aspettativa della nostra vita era di trenta o quarant’anni, adesso arriviamo tranquillamente a ottanta o più. Qualcuno potrebbe obiettare che, rispetto a un tempo, sono apparse molte nuove malattie. Ma i risultati ottenuti sono innegabili.
Chi legge da tempo il mio blog sa che le mie credenze personali e spirituali sono particolari (anche se per me sono del tutto normali), e io sono convinta che la scienza e questo modo di pensare possano non solo convivere pacificamente, ma anche supportarsi. 
Ho appena visto un video ottuso che definisce “malati mentali” tutti quelli che credono in tecniche non ortodosse o nella cura attraverso medicine omeopatiche. In pratica, secondo loro, tutto ciò che non è effettivamente dimostrabile con base scientifica, è da considerarsi una gran cavolata.
La canzoncina in rima orecchiabile, il buon montaggio con cartoni animati, il bel concetto finale... ed ecco quasi 75.000 mi piace su Youtube e oltre tre milioni di visite. Il video definisce “vacue stronzate” credenze come la forza della preghiera, l’aldilà, l’aura o i sensitivi. Dice chiaramente che chi afferma di leggere l’aura, le foglie del tè, i meridiani o credere nell’astrologia è o un “malato mentale” o un “bugiardo”, e lo stesso vale per chi è convinto di conoscere il volere di Dio. Biasima chiunque creda di avere poteri energetici e chiama “stronzi fottuti” i medium, considerandoli bugiardi in cerca di soldi facili. In pratica, fa di tutta l’erba un fascio, accomunando tecniche, esperienze e studi a banali truffatori. Dice che i sensitivi non esistono e che nemmeno un bambino di due anni può crederci, paragonando questa categoria a Babbo Natale. Poi passa a insultare le ricerche sulla memoria dell’acqua.
Il concetto di base che il video vuole trasmettere è: tu dimostrami che questa cosa esiste (attraverso la scienza) e allora ci crederò... ma intanto ti considererò un coglione. Continua poi a ribadire che la magia non esiste e che ogni mistero deve, prima o poi, essere spiegato dalla scienza.
Il video lascia il tempo che trova ed è facilmente discutibile, quello che invece mi preoccupa è che troppe, troppe persone danno credito a questi concetti senza prima accendere il cervello.
Esistono tecniche che, pur non essendo ancora scientificamente e legalmente riconosciute, vengono praticate con grande efficacia, anche da medici. Spesso hanno più effetto le cure che agiscono sulla psiche, attraverso le “credenze”, che i farmaci. A questo proposito, come cataloghiamo la psicologia?
Il mondo, come dice il video, è pieno di misteri e noi, esseri ignoranti, non siamo ancora in grado di capirli... ma un giorno lo saremo.
Nel medioevo bruciavano le streghe perché usare le erbe per curarsi era considerato atto del demonio. Qualche centinaio di anni più tardi la scienza ne ha dimostrato l’efficacia. Non è forse la stessa cosa che succede ora? Non è forse un ciclo che si ripete ogni secolo?
Io uso quotidianamente l’energia quantica e, nel mio piccolo, ho delle prove concrete dell’efficacia di questa tecnica. Non sono fatti dimostrabili scientificamente e, alla stregua di una strega, molti mi condannerebbero. Ma il fatto che la scienza non sia oggi ancora in grado di dimostrare l’esistenza di determinate "realtà", non mi rende una malata mentale o una bugiarda.
Esistono truffatori che si approfittano della fede altrui per guadagnare, ma altresì esistono persone che integrano nella loro vita moderna riti, credenze e tecniche che gli scettici definirebbero “vacue stronzate”. Eppure queste persone vivono benissimo e, invece di prendere un Oki, riescono a curarsi il mal di testa con un’onda energetica, come spesso capita a me. Che sia autoconvinzione, magia o un fenomeno energetico ancora non spiegato dalla scienza, funziona. Allora, perché mai devo essere insultata se le mie credenze possono evitarmi di ingerire una porcheria chimica?
Non sto dicendo che le medicine non vadano bene, attenzione. Se dovessi averne necessità, sarei la prima a prendere un antibiotico ma, se posso evitare di assumere cose inutili usando tecniche alternative, perché non farlo? 
Anni fa consumavo una confezione di Aulin ogni due mesi. Prendevo antidolorifici come caramelle. Ora, se ho un lieve dolore, ricorro a una delle tecniche apprese in svariati corsi. A volte funziona nel giro di pochi secondi, a volte quel dolore mi porta a pensare, perché, a mio avviso, il dolore e la malattia sono solo il sintomo di un disturbo più profondo... che ha sede nell’anima, quella che il video definisce come “vacua stronzata”. 
Probabilmente prima di dare per buono, in nome della scienza, un video orecchiabile, bisognerebbe accendere il cervello, rendersi conto che non tutto è merda e truffa, che non tutto quello che la scienza non ha ancora avuto modo di dimostrare non esiste... E ricordare che i più grandi scienziati sono stati considerati folli ed eretici, perseguitati e oltraggiati! Beh, c’è da riflettere.

"Ogni uomo è una creatura dell'epoca in cui vive; solo pochi sono in grado di elevarsi al di sopra delle idee del loro tempo".  Voltaire

L'immagine appartiene al video citato sopra: "Tim Minchin's Storm the Animated Movie" by Tim Minchin @timminchin

martedì 10 febbraio 2015

Editoria e tendenza: come trasformare la cacca in oro

Premetto che in questo articolo non ci sono leggi universali, ma semplici osservazioni dal mio personale punto di vista.
Scrivo da ormai oltre quattro anni, ho pubblicato come autrice indipendente cinque libri e diversi racconti, sono membro attivo di un’associazione a favore degli autoprodotti e, diciamolo, di libri self ne ho letti a centinaia. Credo di aver maturato una sufficiente esperienza per poter dire cosa è scritto bene e cosa fa schifo, esperienza che deriva soprattutto dai miei sbagli: recensioni negative, critiche pesanti e autocritica.
Ho iniziato a pubblicare facendo gli errori della dilettante: niente editing, niente beta reader, poca obiettività. Ho sbagliato, ho preso bastonate e poi mi sono rialzata, più forte di prima. Ho revisionato, studiato, imparato... ho faticato per raggiungere l’attuale livello e so di non essere “arrivata”. Leggo i miei testi con feroce scrupolosità e non faccio uscire più nulla senza un’attenta revisione. Poi, dopo un anno che sono pubblicati, provo l’istintivo desiderio (che cerco di reprimere per non trovarmi in un circolo vizioso) di controllarli ancora. Questo è per me il self. Che sia un racconto di dieci pagine o un libro da cinquecento, l’attenzione è la stessa.
Da sempre, la differenza tra editoria e selfpublishing è stata la qualità: se hai una CE alle spalle, il tuo testo è curato, altrimenti no. Ho ricevuto pochi giorni fa una recensione che metteva in risalto proprio questo concetto; diceva che io, nonostante sia self, ho scritto un libro privo di errori ortografici o grammaticali. Insomma, self è ancora sinonimo di poca qualità. E come dare torto ai lettori? Alcuni libri autopubblicati dovrebbero essere semplicemente buttati al macero. Non è cattiveria ma realtà. Tuttavia questo articolo non vuole sindacare la qualità o meno del mondo self, bensì parlare della “vera” editoria, di quella che dovrebbe essere “roba buona”.
A fine 2014, mossa più da una curiosità che da un reale desiderio di pubblicazione, mi sono rivolta al servizio online di libro/mania. Sul sito ci si può iscrivere e presentare i propri libri, anche già editi. Questi, a loro detta, vengono analizzati da revisori esperti e, se validi, pubblicati. È una Casa Editrice nata dalla partnership di De Agostini Libri con Newton Compton Editori, nomi che dovrebbero trasmettere professionalità.
Ho inviato Nero Assoluto - parte prima, specificando che l’opera è già stata pubblicata ancora nel 2013. Dopo quasi due mesi, pochi giorni fa, mi è arrivata la risposta: due righe in croce senza alcun riferimento, senza firma e senza possibilità di contatto. Le cito:

"Gentile autrice, La ringraziamo, ma la sua proposta non è stata ritenuta idonea. La storia ha un suo interesse, ma la lingua è acerba. Consigliamo di lasciar sedimentare il testo e di non farsi prendere dall'ansia della pubblicazione e di rivedere le frasi, gli aggettivi, i dialoghi e renderli più controllati, misurati e verosimili."

Premesso che, come scritto sopra, erano al corrente della pubblicazione dell’opera – e già qui mi viene da chiedermi: ma hanno letto le mie note? – questa valutazione mi ha lasciato a dir poco basita. 
Inutile sprecare righe e righe per spiegare l’impegno che c’è stato dietro a Nero Assoluto, gli anni di ricerche, i ripetuti controlli e, infine, dopo tanta fatica, le recensioni positive.
Passato l’attimo di sconforto, mi è uscita spontanea una domanda: se il mio libro è tanto acerbo, come sono gli altri di questa casa editrice? Poi, mentre mi rigiravo nel letto, si è accesa una lampadina: perché non verificare subito? Libro/mania ha a disposizione un ampio catalogo online, acquistabile su Amazon in formato e-book. Ammetto di non aver mai letto nessuno dei loro autori, pertanto ho iniziato la verifica aperta a ogni possibilità.
Ho preso in esame i campioni gratuiti di parecchi titoli e ne voglio condividere qualcuno. Citerò dei pezzi senza dire nome e titolo. Non avendo letto per intero i testi, non mi permetterei mai di giudicare la storia. I commenti li lascio alla fine.
Per iniziare, su tutti i romanzi si può notare l’orribile vizio di non eliminare il rientro dalla prima riga del capitolo, cosa che, a tutti gli effetti, può essere considerata un errore. 
Attenzione: riporto esattamente come scritto sul libro. Sottolineo le ripetizioni e i refusi, i miei commenti tra parentesi quadre.

Primo brano, sezione sentimenti.

Erika aprì gli occhi.
Davanti a lei il volto incredulo e commosso di sua madre.
La osservò per un momento, senza comprendere bene dove si trovasse e cosa stesse accadendo.
Poi, lentamente, il suo sguardo cominciò a vagare.
L’ambiente intorno a lei era asettico, la luce forte e accecante. I rumori ancora frastornanti. La voce di Clara, sua madre, sembrava provenire da molto lontano.
Per un attimo chiuse le palpebre, poi le aprì nuovamente.
Clara, con il volto rigato dalle lacrime, continuava a ripeterle il suo nome.
La vide premere un pulsante accanto al letto.
[Non capisco per quale ragione dopo ogni singola frase si vada a capo.]

Poco dopo arrivò uno donna vestita di bianco che la guardò con aria stupita. Le si avvicinò, la osservò attentamente, poi disse alla donna, con una voce che sembrava provenire dall’interno di un tubo d’acciaio: “Vado a chiamare un medico!” e se ne andò di corsa [ridondante].

Svariate altre ripetizioni sono presenti nelle poche pagine del capitolo 1, così come troppe frasi che finiscono con i puntini di sospensione.
Dal capitolo 2 inizia quella che ho appuntato come “la sagra del punto esclamativo”. Praticamente è presente in ogni singola frase dei dialoghi diretti. Ne conto dodici in due pagine (dimensione cellulare). Le altre frasi finiscono in punti di domanda o puntini di sospensione.

Questo libro, da quel poco che ho letto, non solo presenta dialoghi a mio avviso superficiali e superflui, ma è anche privo di editing. Avrebbe sicuramente bisogno di essere revisionato da un professionista.

Secondo brano, sezione sentimenti.

Nel secondo libro esaminato, l’autore o, più probabilmente, l’editor, non ha idea di come si leghi un dialogo diretto alla frase successiva o al dialogo successivo. Cito alcuni esempi:

“Nonna, siamo arrivati!” e il trio scatenato di nipoti si precipitò tra le braccia della cara signora che aveva spiato il loro arrivo tra le tendine ricamate della finestra.

“Ma come vi siete fatti grandi! Mamma mia! Quasi quasi non vi riconosco più... Siete diventati ancora più belli di quest’estate!”, e, soffocata da tre paia di braccia, non riusciva a sentire neanche il coro delle giustificazioni: “Il pullman ha fatto ritardo perché c’era un traffico incredibile... Il mio cellulare è scarico e il caricabatterie in valigia... E comunque non c’era campo perché il tragitto era pieno di gallerie...”

“Ma guarda un po’ questa signorina! Come ti sei fatta alta! Mi hai superato...” e il disappunto lasciava il posto a un sorriso carico di compiacimento.

Ci tengo a sottolineare che tutte queste frasi sono presenti nella stessa pagina, rendendo il pezzo pesante e ripetitivo.

Terzo brano, sezione gialli e thriller.

Dalla finestra del suo ufficio Luca Del Conte poteva osservare il traffico sostenuto su corso Francia, lasciò che lo sguardo si fissasse sulle auto. Era solo. [Sarebbe d’obbligo il punto e virgola dopo “Francia”, se non il punto secco! Ed è la prima riga del libro.]

Luca si spostò nella stanza a fianco; [qui, invece, era meglio una “e” di congiunzione] adocchiò subito il foglietto azzurro infilato sotto il telefono.

La scarna precisione di Donatella divertì Luca distraendolo per un attimo dal contenuto del messaggio.
L’efficienza e il senso critico erano le qualità che più apprezzava nella sua assistente, quella parola tra parentesi gli diede da pensare. [Ma se la frase prima parla di “scarna precisione”, perché di colpo diventa efficiente?]

so gli ultimi tre mesi della mia... [Qui manca proprio un pezzo, non si sa quanto lungo, a inizio paragrafo.]

Anche in questo caso, gli errori e le sviste si presentano fin dalla prima pagina, rivelando una pessima cura per forma ed editing.
Ho esaminato anche altri testi, tutti sullo stesso livello. Ammetto, però, di averne trovato un paio scritti decisamente meglio.
Dopo questa ricerca, mi vengono spontanee delle osservazioni sulla CE che, ricordo, ha due grossi nomi alle spalle.
Prima di tutto l’editing è un’opzione, così come la qualità dei testi di base. Il revisore di Nero Assoluto ha detto che il libro presenta un linguaggio acerbo. Magari è vero, ma questi testi lo sono infinitamente di più.
Credo di aver compreso che il lavoro di revisione è minimo, se non inesistente (e stendiamo un velo pietoso sulle grafiche di copertina!): se un testo è già buono, resta tale; se, invece, presenta errori, questi non vengono corretti.
Tutto ciò mi consola, se devo essere sincera. Prendo le critiche molto seriamente e, anche se il dubbio che il mio testo non fosse nemmeno stato letto c’era, ho sempre una base di ansia. So che miglioro progressivamente e so anche che non ho ancora raggiunto il vertice del mio stile, proprio per questa ragione ci tengo alle opinioni altrui. Io e la mia editor passiamo ore al telefono per discutere anche di una singola frase... ed è questo che ogni scrittore dovrebbe fare: cercare di migliorare sempre.
Non nego che Nero Assoluto possa essere affinato, tuttora, rileggendolo, trovo delle imperfezioni, ma definirlo acerbo è un’esagerazione, soprattutto vista la qualità generale dei testi proposti dalla medesima CE.
Ovvio, se pubblicassero solo libri all’altezza di Umberto Eco, non avrei fatto una piega... ma un punto esclamativo per ogni frase? Eh no!

Da questa esperienza nascono molte riflessioni sul mondo dell’editoria. La prima è sicuramente che mandare un testo a una CE senza un agente o senza un “Santo” è inutile o quasi. Raramente vengono letti, rarissimamente letti per intero. Le frasi di rifiuto sono preconfezionate e, più che la qualità, viene considerata la vendibilità. Dopotutto una CE è un’azienda che deve guadagnare, non dobbiamo dimenticarlo.
Bisogna anche riflettere su un altro fattore: in questo periodo la cacca vende benissimo. Allora perché proporre testi di spessore? Trasformiamo la cacca in oro! Basta un marketing mirato per tramutare un libro spazzatura nel nuovo best-seller. Siamo un popolo di pecore dopotutto... seguiamo il gregge. Ci ergiamo a intellettuali liberi, ma poi compriamo “50 sfumature di grigio” per fare gli alternativi. Oh, non fraintendete, non è mica un crimine! È solo una scelta. Perché quello che ci resta è unicamente la possibilità di scegliere per noi stessi, anche se il mondo cerca sempre di imporci ciò che desidera.
La magnifica azienda che è l’editoria ha il dono e il potere di tramutare la cacca in oro. E la gente gli corre dietro.
Non importa se un racconto è privo di spessore e se l’unica cosa che narra è una trombata: vende. Questo è sufficiente per parlare dell’autore come fosse il nuovo Calvino.
Ed ecco che un testo buono e originale diventa di colpo “acerbo”.
Mi chiedo quando il gregge smetterà di leggere porno e passerà a una nuova moda. Per il momento seguo l’onda e ci guadagno pure io sopra! Le cover erotiche vendono da Dio! Non me ne vogliano le autrici per questo articolo...

Ps. La foto è di un'opera famosa di Piero Manzoni, penso si adatti perfettamente all'articolo.