mercoledì 20 novembre 2013

E se i gatti iniziassero a parlare?

Mentre prendevo un treno stregato con J. K. Rowling, la mia gatta, Nega, ha iniziato a parlare. Ovviamente si tratta del sogno di questa notte e, per essere precisi, il treno non era stregato alla Harry Potter, ma aleggiava soltanto una strana forma di energia che faceva impazzire i passeggeri... e dal finestrino c’erano oggetti volanti non identificati, tipo un’enorme bottiglia del latte Granarolo cavalcata da due uomini, cosa che ho scoperto in seguito essere una trovata pubblicitaria. Ma ritorniamo ai gatti.
A un certo punto del sogno, nella carrozza è entrato un idiota con una palla di pelo in mano, quest’ultima si è puntata contro un’altra palla di pelo all’interno del vagone, creando il caos. Io, da gattofila quale sono, mi sono buttata nella mischia per separarle e, per punire l’uomo imbecille, gli ho piantato una lima per unghie nelle chiappe XD. Ok, ok, arrivo al punto. Poco dopo è apparsa la mia gatta, anche se al momento è più la gatta di mia mamma vista la distanza, Nega. Ho iniziato ad accarezzarla e lei a stiracchiarsi pancia all’aria, come al suo solito. Tuttavia c’era un elemento estraneo: delle mini scarpette da ginnastica alle sue zampe. Dopo aver chiesto a mia madre spiegazioni - risposta: “Mi piacevano tanto e gliele ho comprate” - la micia ha iniziato a parlare. Prima un timido sì alla mia domanda, poi discorsi via via più complessi. Assomigliava a un bambino di tre anni. Lì per lì sono rimasta perplessa (chissà perché!), poi la cosa ha iniziato a piacermi. Lei si divertiva a prendere in giro un’altra gatta sul treno che, essendo poco evoluta, non poteva parlare.
Stamattina, mentre mi alzavo pigramente e andavo al bagno, ho ripensato al sogno e mi sono posta un grande interrogativo: e se accadesse davvero? Se i nostri amici gatti iniziassero a parlare sarebbe un bene o no?
Immaginate la scena: il loro carattere e l’aria di superiorità unita alle parole. “Ehi tu, pezzente di un padrone, quanto devo aspettare per avere la mia pappa? A forza di strusciarmi mi sembra di essere una cagna!” oppure “Pensi che mi diverta a guardarti mentre espleti i tuoi bisogni fisiologici? In realtà me ne sto qui soltanto per vedere un essere inferiore durante un momento di debolezza”, o ancora: “No, imbecille, gratta più su! Quante volte ti ho detto che mi piace sul muso e non sulla coda?”
Non lo so... forse far parlare i gatti non sarebbe una grande idea. Voi cosa ne pensate? XD


Ps. È uscito il mio nuovo libro su Amazon, Nero Assoluto (vedi link a lato della pagina), ma non ha nulla a che fare con i gatti parlanti... in ogni caso compratelo! :D

lunedì 11 novembre 2013

Tri...

Traumi e società "moderna"

Wikipedia definisce il trauma come un "danno" subito dalla psiche a seguito di un'esperienza critica vissuta dall’individuo.
Quanti traumi subiamo davvero nella nostra vita?
Provate a pensarci: il primo immenso trauma è la nascita. Abituati a un luogo caldo e confortevole, dobbiamo fare una fatica immane per “sopravvivere” alla nascita. Piombiamo in un posto freddo, duro e inospitale. Primo trauma.
Ne segue una quantità infinità... piccole cose che da adulti non ci degniamo nemmeno di considerare un problema, ma che per un bambino sono una vera sofferenza. Lo spintone di un compagno di scuola, il senso di abbandono se un genitore è poco presente, l’inadeguatezza provata di fronte a un rimprovero ingiusto. Un bambino non possiede le “armi” per comprendere ciò che per un adulto è chiaro e, forse, banale.
Cresciamo portandoci dietro una moltitudine di ferite più o meno grandi che nascondiamo sotto a molti strati. Spesso le celiamo così bene da dimenticarcene completamente. Così succede che quando, nella vita adulta, viviamo una situazione similare, proviamo un disagio profondo, senza capirne il perché. Chi potrebbe mai pensare di essere inconsciamente arrabbiato con la propria madre perché venti o trent’anni prima non ci ha consolato dopo una caduta per terra?
Ovviamente ci sono anche i traumi subiti in età adulta: decisamente più identificabili e altrettanto più complessi da superare.
Ma non è della modalità per guarire dai traumi che voglio parlare, piuttosto dell’effetto che hanno sulle persone.
Tutti, chi più chi meno, abbiamo vissuto esperienze traumatiche, e ho notato che la soluzione per tante persone sta nell’ignorarle. In un mondo dove analisti e psicologi sono ancora un tabù, l’italiano medio preferisce chiudere tutto dietro una porta blindata. Perché essere considerati “matti” è peggio del trauma stesso.
Viviamo in un paese in cui esternare emozioni autentiche è segno di debolezza. Dove essere considerati con qualche rotella fuori posto, è peggio che venire rapinati e pestati. Preferiamo ragionare con la testa e non con il cuore. Sopprimiamo il nostro inconscio e tutti i messaggi che ci dà. Chiudiamo dietro un velo di razionalità tutti i fenomeni inusuali che ci capitano e poi, per sfogare il senso di frustrazione, ci bombardiamo di film e letteratura fantastica. Piuttosto di vivere il “magico” che c’è in noi, lo sorbiamo in grandi quantità da chi ce lo propina per soldi.
E pensare che basterebbe scollegarci per un secondo... staccare la spina del cervello e ascoltare il nostro corpo. Possediamo questa inesauribile fonte d’informazione e di ricordi e ci ostiniamo a non usarla. Consideriamo il corpo solo come uno strumento per muoverci e vivere... non per comprendere i nostri disagi e i sentimenti più profondi. Eppure nel corpo c’è tutto. Mentre la mente esamina e trasforma, nel nostro fisico ogni cosa è registrata indelebilmente. 
Ed ecco che invece di struggerci sul “mi piace o no quella persona”, potremmo semplicemente “ascoltare” cosa ne pensa la nostra pancia e il nostro petto. C’è una fitta improvvisa? Ci sentiamo male o proviamo leggerezza? Piccoli segni che fanno la differenza.
I traumi cristallizzati sulle nostre cellule potrebbero sciogliersi in un soffio, se solo ci permettessimo di “guardarli”. Ma essere “normali” è più importante. Non essere giudicati la priorità.

Allora dimentichiamoci di tutto, ritorniamo nel nostro circolo vizioso e nelle nostre incessanti lamentele, perché in fondo apparire è più importante di essere.