Ho deciso di inaugurare sul blog una serie di post dedicati alle mie letture self. Mi piacerebbe segnalare ogni settimana i libri che voglio leggere o che ho letto. Per partire ho scelto un romanzo breve letto la scorsa estate:
IL TAMBURO DEL GIORNO AFRICANO di Gianluca Ranieri Bandini.
Si tratta di un autore molto prolifico che ho avuto il piacere di conoscere personalmente durante il Riccione Book Festival, dove entrambi presentavamo le nostre opere per l’associazione SELECTED SelfPublishing. Non dirò nulla su di lui, a parte che si tratta di una persona squisita, perché potete curiosare direttamente sul suo blog, voglio invece parlare di questo libro in particolare.
Di cosa parla:
Difficile catalogarlo, è narrativa, è zen, è avventura. Un po’ di tutte e tre. È la storia di un uomo, un uomo che potrebbe essere ognuno di noi, con i problemi quotidiani, pieno di paure e macchiato di molti errori... eh sì, tanti errori. Chi di noi non sbaglia?
Il libro si suddivide in due parti: il racconto della sua vita “comune”, del suo incontro con la donna dei sogni, e la sua avventura vissuta in Africa, un’Africa “cattiva e sporca”.
Due opposti che Gianluca riesce a far combaciare perfettamente.
È un racconto che fa pensare e riflettere. Che dà modo di farsi delle domande circa la propria vita. Una storia a volte cruda, a volte commovente.
Perché mi è piaciuto:
Lo stile di Gianluca è a tratti semplice e diretto, a tratti poetico. Si legge tutto d’un fiato e ti resta dentro. Riesce a scavare nell’anima e a ricavarsi un posticino nel cuore... proprio dove c’è quel piccolo spazietto da riempire.
Oggi, che finalmente scrivo questa recensione nonostante siano passati mesi dalla lettura, provo ancora quelle sensazioni e la commozione torna a galla. Pochi libri fanno questo effetto e Il Tamburo del Giorno Africano è uno di questi.
Come leggerlo:
Ha un prezzo davvero irrisorio: 0,99€! Vi lascio il link per l’acquisto e mi auguro vi piaccia quanto è piaciuto a me.
Sinossi ufficiale dell’opera:
Il protagonista si trova in un’armeria. La visione del tamburo di un revolver lo fa sentire male, quasi svenire. Suo figlio e i presenti lo sostengono, pensando che sia un problema di pressione. Non possono immaginare che siano i ricordi che evoca l’arma a ridurlo in quello stato. Riaffiora tutto alla mente. Una locanda in mezzo alla polvere, nel caldo e nella desolazione. Un criminale privo di scrupoli che fa il suo ingresso, pronto a vendere una bambina al migliore offerente. A quella visione si può solo che reagire, sparare e uccidere. Inizia la fuga, fra mille pericoli e i ricordi di un amore perduto che lo hanno condotto sin lì.
La violenza può essere legittimata da un senso innato di giustizia? È quello che scoprirà il protagonista alla luce dell’accecante paesaggio africano, con il peso della propria coscienza e della consapevolezza che basta una scelta per cambiare il corso di una vita.
Breve estratto:
Questo è uno dei miei pezzi preferiti, credo che da solo rappresenti molto bene il libro.
Non lontano dal locale sporco, mi trovavo in una piccola bicocca con la gente più affamata del mondo, priva di ogni più banale risorsa, acqua compresa.
La gente più affamata del mondo è quella che deve dividere un pezzo di pane con il marito e tre figli, quella che non ha mai consumato in tutta la vita più di un pasto al giorno, quella che se gli chiedi che cos’è una bistecca, non ti sa rispondere e, soprattutto, quella che soffrendo di denutrizione, ti appare come gli scheletri sistemati nelle aule delle facoltà di medicina. Quella che mi stava davanti era la povertà più veritiera, forte e pura di sempre.
Tutto era povero: la casa era povera, i vestiti erano poveri, le persone erano povere, le anime erano povere.
Quel giorno però, quelle persone furono assai fortunate. Portai una miriade di cose da mangiare, cose mai viste dai loro poveri occhi. Passammo un buon giorno insieme, di festa, e ci divertimmo.
Mi vollero ringraziare e pensarono di farlo offrendomi una bevanda buonissima: del caffè.
Di tazzina ce n’era una e l’acqua talmente scarsa che sarebbe bastata giusto per la bevanda. Un piccolo fornello e una minuscola bombola del gas ci permisero di prepararla. La macchinetta gliel’aveva donata un viaggiatore che si era fermato da loro molto tempo addietro. La tazzina era notevolmente laida, ma venne riempita fino all’orlo da quello che doveva essere tutto il caffè disponibile.
Giunse il momento di passarci di mano in mano quell’oggettino: sarebbe stato un simbolo di fratellanza, di solidarietà, d’unione.
Bevvi come tutti da quella tazzina sudicia e, improvvisamente, avvertii un senso di ricchezza che emanava dalla stessa tazzina, misero contenitore dei resti di caffè e delle anime della gente più affamata del mondo.
Colsi molto più tangibilmente un senso d’infinita libertà in quella catapecchia che in uno dei nostri civilissimi e ultra moderni paesi.
Quella povera gente appariva svincolata da ogni meschinità, costrizione mentale e ipocrisia, simboli del mondo al quale appartenevo fino a pochi mesi prima.
Compresi per la prima volta che ero un uccello in volo.
Il Tamburo del Giorno Africano - Gianluca Ranieri Bandini
Il Tamburo del Giorno Africano - Gianluca Ranieri Bandini
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