sabato 11 aprile 2015

Caro papà, grazie.

Noi non siamo mai andati molto d’accordo. Eravamo come cane e gatto: stesso orribile carattere, stessa cocciutaggine, opposta visione della vita. Due persone con una scorza dura certe di essere nel giusto. Tu amavi il concetto di “famiglia antica”, io volevo, e continuo ad ambire, la libertà.
Fin da quando ero una bambina, non abbiamo fatto altro che litigare. Urla, grida, tempeste di parole. Forse proprio per la prima caratteristica evidenziata: noi siamo ricci, persone difficili da conquistare e che preferiscono tenere tutto dentro.
Eppure ci sono stati dei momenti belli, in cui mi sono sentita compresa e fiera. Ricordo il giorno che sei venuto a montarmi il condizionatore con il tuo amico. Ero arrabbiata perché camminavate su e giù sopra al tappeto chiaro con gli scarponi. Avevate le mani sporche e lasciavate le impronte sul muro. Mi dava sui nervi il tuo amico. Però tu non ti sei lamentato. Hai portato quell’arnese pesante su per le scale e cambiato tutti i tubi. Due anni fa... se non ricordo male, era poco prima che ti diagnosticassero il cancro.
Poi ricordo la scorsa estate, quando pensavi di essere guarito. Sei venuto con me in un paesino sperduto della Slovenia per fare un mercatino. Era il 16 agosto e faceva un freddo cane. L’agosto più freddo degli ultimi anni. Guardavi con aria allucinata i ragazzi in cosplay e, all’ora della cena, mi hai portato un cartone con la pizza più indigesta del mondo. Quella giornata ha significato tanto per me. Nella tua vita solitaria seppur in famiglia, mi sono sentita vista.
Eh, lo so. Dovrei smetterla con queste “necessità da bambina”, perché ormai sono grande. Eppure quel giorno sono stata felice.
Ovviamente poi abbiamo litigato ancora e ancora. Forse sono arrivata a odiarti. Ma era un odio dettato dal bisogno.
Ora che non ci sei più, mi trovo a pensare a quei momenti con nostalgia. Sere come questa, ti rivedo nel letto con il fiato corto, mentre speravi da un lato di guarire, dall’altro che la morte ti portasse via.
Avrei voluto essere più sincera in quei giorni, dirti in faccia che non potevi guarire. Alla fine sono riuscita a chiederti solo cosa pensassi circa la vita dopo la morte, offrendoti la mia visione in cambio. Ora lo stai vedendo con i tuoi occhi. Mi dispiace per questa ipocrisia, è l’unica cosa che non mi perdono. Ma ora tu sai molte cose più di me e ricordi.
Ricordi la nostra vita precedente? Ricordi quando ci siamo già incontrati? Quando io ero il tuo mondo?
Alla fine anche questa vita è stata un battito di ciglia. E ci rincontreremo, già lo so. Un giorno mi addormenterò anch’io e mi risveglierò al tuo fianco... allora decideremo che nuova esperienza fare.
Forse mi sei venuto a cercare stanotte, ma non credo di essere ancora pronta. Ieri ho ricevuto un messaggio. Aspettami, ora che hai tutto il tempo, e viaggeremo ancora. È difficile scindere il ruolo che hai avuto in questa mia vita da quello che tu sei. Ho bisogno di tempo.
Per ora sei ancora il mio papà. Ho sempre pensato che le tue attenzioni per me fossero solo briciole. In realtà ora capisco che era tutto ciò che potevi darmi. Per questo ti ringrazio.
Una delle ultime sere, mentre ti avvolgevo con la mia energia, ti ho rivisto bambino, solo e triste. Come potevi darmi altro? Ora non sei più solo. Ora sei tutto.
Grazie, papà. Io sto ancora un po’ qui, poi ci rivedremo.

mercoledì 11 marzo 2015

Cartoomics 2015

Domani si parte per Milano! Vi aspetto allo stand K41 (zona Case Editrici) dal 13 al 15 marzo.
Il 13 alle ore 15.30 presso Agorà 1 (vicino allo stand) terrò, assieme a Elena Ticozzi Valerio e Vittoria Serena Dalton, una conferenza dal tema "Libri self di qualità: la nuova editoria".
Non mancate! :)


martedì 10 marzo 2015

Bufalari folli, indolenza e mancanza di opinioni

A quanti di voi danno fastidio le bufale che girano su Facebook e altri social? Mi riferisco a quegli articoli dai titoli scandalistici come “Trieste: asili, gioco del rispetto con toccamenti vari e travestimenti” o “Facebook a pagamento dal 2016!”.
A me davvero tanto e, con le notizie, chi le pubblica. Mi irrita che la gente condivida titoli allarmistici senza nemmeno degnarsi di leggere il contenuto e, in qualche modo, mi sento in dovere di verificare tali informazioni. Lo so, è un mio problema... potrei deliberatamente fregarmene e bannare questi individui. In fondo anche il mio “voler a tutti i costi rendere evidente la realtà” è una forma di protagonismo. In qualche maniera mi fa sentire superiore. Tuttavia questo “gioco alla bufala” mi porta a riflettere, sia su me sia su loro.
Perché la gente lo fa? Perché condividono articoli evidentemente falsi?
Ho chiesto ai miei amici e ho raccolto interessanti opinioni.
Da un lato abbiamo chi questi articoli li scrive: quasi sempre sono manovre di marketing create appositamente per “accalappiare gli allocchi” e generare traffico a loro favore. Ad esempio se scrivessi su questo blog un titolo tipo “Bollo auto illegale!” e invitassi la gente a non pagarlo (come una famosa bufala che gira da un po’), probabilmente avrei migliaia di visite in poche ore.
In altri casi abbiamo un semplice fenomeno di indolenza: leggo il titolo e lo trovo curioso, lo condivido in attesa che qualcuno cerchi per me e mi illumini. Sono troppo pigro per arrangiarmi da solo. Questa categoria potrebbe tranquillamente, a mio avviso, fare parte dei cosiddetti “vampiri energetici”, ovvero persone che, inconsciamente, attraverso la polemica su internet, assorbono l’energia altrui.
Oppure abbiamo i “deboli”, quelli che di prassi non hanno loro opinioni e allora si aggrappano a quello che leggono, impossessandosi di quell’idea. Di solito l’idea è il semplice titolo e trafiletto, perché leggere tutto l’articolo sarebbe troppo oneroso, per non parlare di ricerche ulteriori. Per questi personaggi internet e Google sono un mistero, la rete si riduce a Facebook. Anche volendo, non sono capaci (o fingono di non esserlo) di fare ricerche approfondite, spesso giustificandosi con la mancanza di tempo. Sono le classiche persone che condividono la bufala scrivendo “guardate che schifo! Chissà dove arriveremo”. In sostanza, hanno l’assoluta necessità di far vedere al mondo che ci sono, di sentirsi parte della comunità... un appello silenzioso per dire “esisto anch’io!”.
In ogni caso, questi articoli sono una brutta bestia: ci mettono l'uno contro l’altro, aizzano le persone verso qualcosa (immigrati, stato o altro) creando un circolo vizioso di malumore.
Perché ci continuiamo a fare del male? Perché proviamo godimento nelle notizie scandalistiche? Non si potrebbero condividere cose positive invece? Qualche cosa bella ogni tanto gira sui social, ma spesso è nascosta dalle bufale più eclatanti.
Credo che tutti dovrebbero farsi un esame di coscienza e domandarsi a cosa li porta il loro comportamento.
Per quanto mi riguarda, cercherò di “eliminare” tutte le persone che tendono a dare credito a scandali piuttosto che alla sana informazione.
Grazie a chi mi ha dato (e mi darà) la propria opinione.

mercoledì 25 febbraio 2015

Il male del secolo

Il male del secolo non è il cancro, ma sono i social network. Qualunque diavoleria tecnologica ci permetta di chattare ed essere al centro dell’attenzione. Probabilmente anche questo blog.
Lo dico dal punto di vista degli utilizzatori ovviamente. Uso Facebook, Twitter, Pinterest, Instagram, Google+, WhatsApp e pure qualche altra piattaforma. La prima cosa che faccio al mattino, quando suona la sveglia, è controllare Facebook ed e-mail, messaggi e tag. Lo ammetto: faccio parte del sistema e sono malata anch’io. Ma ci sono dei limiti, confini dettati dal buongusto e dall’educazione. Soprattutto dal rispetto per gli altri. Come disse Martin Luther King, “la mia libertà finisce dove comincia la vostra”.
Sembra, però, che in pochi capiscano questo concetto. Forse è troppo complesso, o forse le onde elettromagnetiche dei cellulari hanno iniziato già a fondere cervelli.
Questo pomeriggio mi sono concessa un cinema. Era da un po’ che non ci andavo e, prima che venisse tolto dalle sale, ci tenevo a guardare Jupiter. Se posso, scelgo il mercoledì per pagare meno. Ahimè, amo il cinema ma i prezzi stanno diventando proibitivi.
Nella sala c’erano solo tre persone e io mi pregustavo già l’eccellente visione... perlomeno fino a quando non sono arrivate due ragazzine intorno ai vent’anni, ovviamente in ritardo, e ovviamente sedute accanto a me nonostante la sala vuota. Sono riuscite a trattenersi mezz’ora ma, già prima che finisse il primo tempo, hanno acceso un cellulare per controllare i vari messaggi.
Lo odio. Sul serio: detesto profondamente chi usa il cellulare in sala, accecando gli altri.
Ho sopportato e, per fortuna, dopo un paio di minuti l’hanno spento. Al mio “alleluia” sussurrato tra i denti, si sono anche contrariate. Durante la pausa sono uscite e rientrate solo dopo che il film era ricominciato (ma va?). Terminati i popcorn, hanno ripreso a chattare sul malefico congegno.
Ho chiesto cortesemente di spegnerlo, e mi hanno guardato male. Ho detto loro di uscire se volevano usare il cellulare, e mi hanno ignorato. Mi sono alzata e avvicinata, intimando di mettere via quei cosi... niente. Ridacchiavano di me, replicando che “se mi dava fastidio, potevo spostarmi”.
Il film mi piaceva, per cui non mi andava di cercare un addetto e perdere quindici minuti. Avrei voluto semplicemente sopprimerle (e non scherzo), ma a Treviso è ancora illegale. Per cui mi sono limitata a camminare sopra a borse e piedi di entrambe e, con molta classe, rovesciare loro in testa i residui di popcorn. Ho concluso il film in ultima fila, soffocando l’istinto assassino, e sono tornata a casa (loro hanno usato il cellulare per il resto del film, a una è addirittura suonato in sala ed è uscita per rispondere. Le ho riviste poi fuori dal cinema, intente a fumare e chattare ancora).
Se fossi stata al loro posto (cosa molto improbabile), davanti alla prima lamentela mi sarei vergognata e avrei chiesto scusa. Sono stata educata così. Anzi, è più corretto dire che “io sono stata educata”.
Credo che questa piccola esperienza dica molto sia sulla droga che stanno diventando i social network - tanto da pagare un biglietto per poi chattare sul cellulare -, sia sull’educazione della nuova generazione.
Mi porta a riflettere. Sono davvero così fondamentali questi contatti? Di più rispetto a godersi un film con un’amica? È più importante vivere il momento e una bella compagnia o postarlo su Facebook?
Ripeto, uso i social e, in parte, sono anch’io una drogata, ma quello che vedo in giro mi preoccupa. Forse sarà l’età o la zitellaggine che mi inacidisce, eppure non tollero certi comportamenti.
Voi che ne pensate?