Ultimamente mi sono trattenuta molto. Non ho detto bugie, semplicemente sono stata zitta. Avrei voluto commentare delle situazioni e dei comportamenti ma mi sono trattenuta per il famoso “quieto vivere”. Quello stesso “quieto vivere” che inquina l’anima.
L’ultima volta che sono stata onesta, schietta e aperta, con una persona che ritenevo un amico, mi sono sentita piombare addosso accuse tipo “ti diverti a fare del male alla gente” e “sei una persona arida”. Nonostante capisca la situazione e riesca anche a comprendere le ipersensibilità altrui, non poter dire ciò che penso, in modo sincero, mi pesa.
Mi viene da chiedermi: se non posso essere me stessa, che razza di amicizia è? Se devo limitarmi, è una relazione “sana”? Probabilmente no.
Ma non mi è accaduto solo con amici stretti, mi accade spesso nelle più disparate situazioni. Ho scritto ciò che pensavo su Facebook, in un commento pubblico, e a qualcuno ha dato fastidio: mi sono trovata con il profilo bloccato per 24 ore. Adesso mi trattengo. Mi trattengo anche nei gruppi di gioco, mi trattengo con gli uomini. Mi trattengo troppo spesso dall’essere me stessa.
C’è una soglia tra “tatto, riguardo, delicatezza” e “amor proprio”. Quando il trattenerci fa più male che bene? E se le persone se ne vanno, dopo un commento spontaneo, quel rapporto valeva davvero la pena di essere vissuto? Probabilmente no. Perciò, è meglio soffrire per non poter essere sé stessi o per una relazione persa?
Finirò sola con venti gatti prima dei quarant'anni.
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