mercoledì 22 novembre 2017

Dieta sì, dieta no

Chi di voi non ha mai fatto una dieta ipocalorica? Forse qualcuno c’è, ma pochi, pochissimi. Soprattutto per noi donne, il peso e la linea sono un cruccio fisso.
Io ho iniziato a cinque anni. Già allora ero una bambina “rotonda”, troppo per lasciar correre. Ho alcuni ricordi sbiaditi e altri estremamente nitidi. Ad esempio quando i miei mi comunicarono che sarei dovuta andare al Burlo, allora rinomato ospedale infantile di Trieste, per via dei miei chili di troppo. Ero terrorizzata, ricordo che per tutta la settimana precedente alla visita ho tentato di capire come appoggiare i piedi sulla bilancia per farla pesare meno. Di quella visita mi è rimasto impresso che ho dovuto affrontarla da sola, con mio padre che aspettava in corridoio, e che non sono riuscita a imbrogliare.
Sono tornata a casa con una dieta ipocalorica prestampata tragica, che poco c’entrava con le mie reali esigenze. Tanto, per la carenza di ferro c’erano le disgustose fialette.
Da allora la sanità non è cambiata. Da adolescente sono passata dalla bulimia all’anoressia, ben celate alla famiglia che non si accorgeva di nulla. Alle superiori alternavo giorni di totale digiuno con estenuanti sedute in palestra, a giorni in cui prima di cena ingurgitavo dolci da migliaia di calorie. Non importava un granché a nessuno.
Sono stata io a voler andare la prima volta da una psicologa, intorno ai diciassette anni. Mia madre era contraria, difatti, alle sedute di gruppo che avrei dovuto fare settimanalmente fuori città, non mi ha mai accompagnato. Non hai bisogno di quella roba, è per malati mentali!
Ho iniziato a curarmi davvero da adulta, dopo essere finita in ospedale per una crisi. Ma anche in quel caso, il presunto dietologo che mi seguì mi obbligò a una dieta estrema, così stressante per il fisico da rallentare il metabolismo. Il risultato fu che dei trenta chilogrammi persi in meno di un anno, ai primi sgarri ne recuperai subito più della metà.
Tutta questa premessa per arrivare a un punto: i dottori non aiutano chi ha seri problemi di peso. I medici di base o non abbastanza qualificati si limitano a dare qualcosa di “pronto”, in linea con quello che per la sanità è considerato “buona alimentazione”. E di questi, nessuno cura l’anima. Attenzione, non solo la mente... l’anima.
Ho fatto tanti anni di terapie psicologiche per arrivare a una conclusione: non andavano abbastanza a fondo. Solo dopo aver intrapreso un percorso “spirituale”, se così si possono definire le tecniche che vanno a lavorare in profondità, ho compreso.
La nostra società è sbagliata. Si basa su dottori che ti curano come se fossi un pezzo di carne e basta. Ancora peggio, si fonda su famiglie che non vogliono guardare i reali problemi, non vogliono ammettere colpe o mancanze. Come nel mio caso.
Fin dal primo anno di vita mi hanno fatto credere che il cibo servisse a bloccare le emozioni, le stesse che la mia famiglia evitava di esprimere: si mangia per festeggiare, si mangia per sfuggire alla tristezza, si mangia per colpa dello stress. “Se fai la brava ti compro il gelato”, “se prendi un bel voto avrai la cioccolata”, “visto che hai l’influenza prendi questo dolce”, e così via. È tutto profondamente sbagliato. Così, una bambina già golosa di natura ha creduto che il cibo fosse la soluzione a tutto, e l’astinenza il miglior modo per punirsi.
Quanti bambini crescono in famiglie del genere ogni giorno?
Oggi sono ancora grassa, ma faccio quattro allenamenti settimanali di arti marziali. Ho più muscoli e più forza di un uomo atletico probabilmente. Ho un maestro favoloso che non mi ha mai detto una sola volta “devi dimagrire” o “non devi mangiare questo”, a differenza del mio medico di base che, nonostante la salute perfetta mi ha consigliato un intervento chirurgico per perdere peso. Grazie a questa nuova attività non mi sento più totalmente sbagliata e, per la prima volta nella mia vita, ho il reale desiderio di modificare la mia alimentazione: non per dimagrire, ma per stare ancora meglio.
Se tutto questo fosse accaduto a cinque anni, al posto di quella visita terrificante, oggi sarei una persona diversa. 
Ogni genitore dovrebbe sapere e dovrebbe essere disposto a “lavorare” su di sé per migliorarsi... perché se prima non si risolvono i propri problemi interiori, come si può pensare di crescere qualcun altro?

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