martedì 10 febbraio 2015

Editoria e tendenza: come trasformare la cacca in oro

Premetto che in questo articolo non ci sono leggi universali, ma semplici osservazioni dal mio personale punto di vista.
Scrivo da ormai oltre quattro anni, ho pubblicato come autrice indipendente cinque libri e diversi racconti, sono membro attivo di un’associazione a favore degli autoprodotti e, diciamolo, di libri self ne ho letti a centinaia. Credo di aver maturato una sufficiente esperienza per poter dire cosa è scritto bene e cosa fa schifo, esperienza che deriva soprattutto dai miei sbagli: recensioni negative, critiche pesanti e autocritica.
Ho iniziato a pubblicare facendo gli errori della dilettante: niente editing, niente beta reader, poca obiettività. Ho sbagliato, ho preso bastonate e poi mi sono rialzata, più forte di prima. Ho revisionato, studiato, imparato... ho faticato per raggiungere l’attuale livello e so di non essere “arrivata”. Leggo i miei testi con feroce scrupolosità e non faccio uscire più nulla senza un’attenta revisione. Poi, dopo un anno che sono pubblicati, provo l’istintivo desiderio (che cerco di reprimere per non trovarmi in un circolo vizioso) di controllarli ancora. Questo è per me il self. Che sia un racconto di dieci pagine o un libro da cinquecento, l’attenzione è la stessa.
Da sempre, la differenza tra editoria e selfpublishing è stata la qualità: se hai una CE alle spalle, il tuo testo è curato, altrimenti no. Ho ricevuto pochi giorni fa una recensione che metteva in risalto proprio questo concetto; diceva che io, nonostante sia self, ho scritto un libro privo di errori ortografici o grammaticali. Insomma, self è ancora sinonimo di poca qualità. E come dare torto ai lettori? Alcuni libri autopubblicati dovrebbero essere semplicemente buttati al macero. Non è cattiveria ma realtà. Tuttavia questo articolo non vuole sindacare la qualità o meno del mondo self, bensì parlare della “vera” editoria, di quella che dovrebbe essere “roba buona”.
A fine 2014, mossa più da una curiosità che da un reale desiderio di pubblicazione, mi sono rivolta al servizio online di libro/mania. Sul sito ci si può iscrivere e presentare i propri libri, anche già editi. Questi, a loro detta, vengono analizzati da revisori esperti e, se validi, pubblicati. È una Casa Editrice nata dalla partnership di De Agostini Libri con Newton Compton Editori, nomi che dovrebbero trasmettere professionalità.
Ho inviato Nero Assoluto - parte prima, specificando che l’opera è già stata pubblicata ancora nel 2013. Dopo quasi due mesi, pochi giorni fa, mi è arrivata la risposta: due righe in croce senza alcun riferimento, senza firma e senza possibilità di contatto. Le cito:

"Gentile autrice, La ringraziamo, ma la sua proposta non è stata ritenuta idonea. La storia ha un suo interesse, ma la lingua è acerba. Consigliamo di lasciar sedimentare il testo e di non farsi prendere dall'ansia della pubblicazione e di rivedere le frasi, gli aggettivi, i dialoghi e renderli più controllati, misurati e verosimili."

Premesso che, come scritto sopra, erano al corrente della pubblicazione dell’opera – e già qui mi viene da chiedermi: ma hanno letto le mie note? – questa valutazione mi ha lasciato a dir poco basita. 
Inutile sprecare righe e righe per spiegare l’impegno che c’è stato dietro a Nero Assoluto, gli anni di ricerche, i ripetuti controlli e, infine, dopo tanta fatica, le recensioni positive.
Passato l’attimo di sconforto, mi è uscita spontanea una domanda: se il mio libro è tanto acerbo, come sono gli altri di questa casa editrice? Poi, mentre mi rigiravo nel letto, si è accesa una lampadina: perché non verificare subito? Libro/mania ha a disposizione un ampio catalogo online, acquistabile su Amazon in formato e-book. Ammetto di non aver mai letto nessuno dei loro autori, pertanto ho iniziato la verifica aperta a ogni possibilità.
Ho preso in esame i campioni gratuiti di parecchi titoli e ne voglio condividere qualcuno. Citerò dei pezzi senza dire nome e titolo. Non avendo letto per intero i testi, non mi permetterei mai di giudicare la storia. I commenti li lascio alla fine.
Per iniziare, su tutti i romanzi si può notare l’orribile vizio di non eliminare il rientro dalla prima riga del capitolo, cosa che, a tutti gli effetti, può essere considerata un errore. 
Attenzione: riporto esattamente come scritto sul libro. Sottolineo le ripetizioni e i refusi, i miei commenti tra parentesi quadre.

Primo brano, sezione sentimenti.

Erika aprì gli occhi.
Davanti a lei il volto incredulo e commosso di sua madre.
La osservò per un momento, senza comprendere bene dove si trovasse e cosa stesse accadendo.
Poi, lentamente, il suo sguardo cominciò a vagare.
L’ambiente intorno a lei era asettico, la luce forte e accecante. I rumori ancora frastornanti. La voce di Clara, sua madre, sembrava provenire da molto lontano.
Per un attimo chiuse le palpebre, poi le aprì nuovamente.
Clara, con il volto rigato dalle lacrime, continuava a ripeterle il suo nome.
La vide premere un pulsante accanto al letto.
[Non capisco per quale ragione dopo ogni singola frase si vada a capo.]

Poco dopo arrivò uno donna vestita di bianco che la guardò con aria stupita. Le si avvicinò, la osservò attentamente, poi disse alla donna, con una voce che sembrava provenire dall’interno di un tubo d’acciaio: “Vado a chiamare un medico!” e se ne andò di corsa [ridondante].

Svariate altre ripetizioni sono presenti nelle poche pagine del capitolo 1, così come troppe frasi che finiscono con i puntini di sospensione.
Dal capitolo 2 inizia quella che ho appuntato come “la sagra del punto esclamativo”. Praticamente è presente in ogni singola frase dei dialoghi diretti. Ne conto dodici in due pagine (dimensione cellulare). Le altre frasi finiscono in punti di domanda o puntini di sospensione.

Questo libro, da quel poco che ho letto, non solo presenta dialoghi a mio avviso superficiali e superflui, ma è anche privo di editing. Avrebbe sicuramente bisogno di essere revisionato da un professionista.

Secondo brano, sezione sentimenti.

Nel secondo libro esaminato, l’autore o, più probabilmente, l’editor, non ha idea di come si leghi un dialogo diretto alla frase successiva o al dialogo successivo. Cito alcuni esempi:

“Nonna, siamo arrivati!” e il trio scatenato di nipoti si precipitò tra le braccia della cara signora che aveva spiato il loro arrivo tra le tendine ricamate della finestra.

“Ma come vi siete fatti grandi! Mamma mia! Quasi quasi non vi riconosco più... Siete diventati ancora più belli di quest’estate!”, e, soffocata da tre paia di braccia, non riusciva a sentire neanche il coro delle giustificazioni: “Il pullman ha fatto ritardo perché c’era un traffico incredibile... Il mio cellulare è scarico e il caricabatterie in valigia... E comunque non c’era campo perché il tragitto era pieno di gallerie...”

“Ma guarda un po’ questa signorina! Come ti sei fatta alta! Mi hai superato...” e il disappunto lasciava il posto a un sorriso carico di compiacimento.

Ci tengo a sottolineare che tutte queste frasi sono presenti nella stessa pagina, rendendo il pezzo pesante e ripetitivo.

Terzo brano, sezione gialli e thriller.

Dalla finestra del suo ufficio Luca Del Conte poteva osservare il traffico sostenuto su corso Francia, lasciò che lo sguardo si fissasse sulle auto. Era solo. [Sarebbe d’obbligo il punto e virgola dopo “Francia”, se non il punto secco! Ed è la prima riga del libro.]

Luca si spostò nella stanza a fianco; [qui, invece, era meglio una “e” di congiunzione] adocchiò subito il foglietto azzurro infilato sotto il telefono.

La scarna precisione di Donatella divertì Luca distraendolo per un attimo dal contenuto del messaggio.
L’efficienza e il senso critico erano le qualità che più apprezzava nella sua assistente, quella parola tra parentesi gli diede da pensare. [Ma se la frase prima parla di “scarna precisione”, perché di colpo diventa efficiente?]

so gli ultimi tre mesi della mia... [Qui manca proprio un pezzo, non si sa quanto lungo, a inizio paragrafo.]

Anche in questo caso, gli errori e le sviste si presentano fin dalla prima pagina, rivelando una pessima cura per forma ed editing.
Ho esaminato anche altri testi, tutti sullo stesso livello. Ammetto, però, di averne trovato un paio scritti decisamente meglio.
Dopo questa ricerca, mi vengono spontanee delle osservazioni sulla CE che, ricordo, ha due grossi nomi alle spalle.
Prima di tutto l’editing è un’opzione, così come la qualità dei testi di base. Il revisore di Nero Assoluto ha detto che il libro presenta un linguaggio acerbo. Magari è vero, ma questi testi lo sono infinitamente di più.
Credo di aver compreso che il lavoro di revisione è minimo, se non inesistente (e stendiamo un velo pietoso sulle grafiche di copertina!): se un testo è già buono, resta tale; se, invece, presenta errori, questi non vengono corretti.
Tutto ciò mi consola, se devo essere sincera. Prendo le critiche molto seriamente e, anche se il dubbio che il mio testo non fosse nemmeno stato letto c’era, ho sempre una base di ansia. So che miglioro progressivamente e so anche che non ho ancora raggiunto il vertice del mio stile, proprio per questa ragione ci tengo alle opinioni altrui. Io e la mia editor passiamo ore al telefono per discutere anche di una singola frase... ed è questo che ogni scrittore dovrebbe fare: cercare di migliorare sempre.
Non nego che Nero Assoluto possa essere affinato, tuttora, rileggendolo, trovo delle imperfezioni, ma definirlo acerbo è un’esagerazione, soprattutto vista la qualità generale dei testi proposti dalla medesima CE.
Ovvio, se pubblicassero solo libri all’altezza di Umberto Eco, non avrei fatto una piega... ma un punto esclamativo per ogni frase? Eh no!

Da questa esperienza nascono molte riflessioni sul mondo dell’editoria. La prima è sicuramente che mandare un testo a una CE senza un agente o senza un “Santo” è inutile o quasi. Raramente vengono letti, rarissimamente letti per intero. Le frasi di rifiuto sono preconfezionate e, più che la qualità, viene considerata la vendibilità. Dopotutto una CE è un’azienda che deve guadagnare, non dobbiamo dimenticarlo.
Bisogna anche riflettere su un altro fattore: in questo periodo la cacca vende benissimo. Allora perché proporre testi di spessore? Trasformiamo la cacca in oro! Basta un marketing mirato per tramutare un libro spazzatura nel nuovo best-seller. Siamo un popolo di pecore dopotutto... seguiamo il gregge. Ci ergiamo a intellettuali liberi, ma poi compriamo “50 sfumature di grigio” per fare gli alternativi. Oh, non fraintendete, non è mica un crimine! È solo una scelta. Perché quello che ci resta è unicamente la possibilità di scegliere per noi stessi, anche se il mondo cerca sempre di imporci ciò che desidera.
La magnifica azienda che è l’editoria ha il dono e il potere di tramutare la cacca in oro. E la gente gli corre dietro.
Non importa se un racconto è privo di spessore e se l’unica cosa che narra è una trombata: vende. Questo è sufficiente per parlare dell’autore come fosse il nuovo Calvino.
Ed ecco che un testo buono e originale diventa di colpo “acerbo”.
Mi chiedo quando il gregge smetterà di leggere porno e passerà a una nuova moda. Per il momento seguo l’onda e ci guadagno pure io sopra! Le cover erotiche vendono da Dio! Non me ne vogliano le autrici per questo articolo...

Ps. La foto è di un'opera famosa di Piero Manzoni, penso si adatti perfettamente all'articolo.

3 commenti:

  1. Interessante analisi. Darò un occhio anche io.

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  2. hai sentito la notizia che RCS venderà molte delle sue case a mondadori? Cosa ne pensi? (può essere lo spunto per un articolo)

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    1. Che siamo messi proprio male in Italia vista la qualità di Mondadori... -__-

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