venerdì 28 novembre 2014

La ricerca della felicità

Alzi la mano chi non vorrebbe essere felice. Praticamente è quello che tutti chiedono: “Voglio essere felice”. Filosofi, poeti e scrittori si sono dilettati con questo argomento per secoli e oggi si sprecano “ricette” e aforismi di ogni genere su internet. Ma che cos’è davvero la felicità?
Intanto non è uguale per tutti. Ognuno di noi può viverla in maniera diversa. Tuttavia, secondo me ci sono delle cose basilari che accomunano tutti gli esseri umani.
Eliminiamo subito quelle frasi fatte tipo “per essere felici bisogna far felici gli altri” o “la felicità è una ricompensa che arriva quando non l’hai ricercata”, etc. Io penso che la felicità sia innanzi tutto una cosa individuale e non vincolata al prossimo. È vero che aiutare gli altri o fare del bene può renderci felici ma, molto spesso, è una gioia fittizia che nasconde altre cose.
Secondo la mia visione, essere felici significa essere in armonia con il nostro scopo di vita. Ognuno di noi nasce con un obiettivo che, per forza di cose, non ricorda. Siamo felici nel momento in cui siamo in armonia con quell’intento.
Tutti desideriamo sentirci amati e completi, questa è una delle cose che ci accomuna nella ricerca della felicità. Ciò che le persone sbagliano, però, è ricercare questo stato come se dovesse arrivare dall’esterno. E qui ritorniamo allo “scopo di vita”. In realtà noi siamo perfettamente in grado di bastare a noi stessi, il resto è in più. Il mondo, il sistema, le aziende ci fanno credere che per essere felici abbiamo bisogno di mille cose superflue. La religione ci ha detto che per essere felici dobbiamo amare Dio e stare lontani dal diavolo; che le famiglie devono essere fatte di uomo, donna e figli; che bisogna lavorare sei giorni la settimana e riposare la domenica. Altri ci hanno detto che non possiamo essere felici se non stiamo al passo con i tempi, con il ritmo del progresso, di internet e dell’era moderna. Ci hanno convinti che se non rientriamo in determinati parametri, non valiamo niente.
Noi siamo un agglomerato di regole imposte o autoimposte e, per quanto ci riteniamo anarchici, molti dettami sono impressi nel nostro DNA.
Con tutto questo peso sulle spalle, non dovrebbe meravigliare che la maggior parte di noi non sia felice. Da quando nasciamo, tutti ci obbligano a diventare qualcos’altro, ci incanalano in una via che, forse, non è la nostra. Iniziano i genitori, spesso inconsapevolmente. Ad esempio, immaginate un bimbo di cinque anni che cade e si graffia un ginocchio. Scoppia a piangere e la mamma, curandolo, gli dice: “Avanti, gli ometti non piangono.” Sembra una scena normalissima, ma quanto c’è dietro a quella frase leggera? L’uomo vero non piange. Se sei un uomo è giusto nascondere i sentimenti. Non provare, non essere. Anche se stai male, provi rabbia e dolore, tu devi far finta di nulla. Dietro a una banale frase che tutte le mamme dicono c’è un universo sepolto.
Essere felici in questo mondo non è facile, ma nemmeno impossibile. La prima cosa da fare è capire chi siamo e qual è il nostro scopo nella vita. No, non si tratta di quello imposto dalla società, non è la famigliola perfetta o il lavoro ben pagato. È una cosa più profonda e intima. Possiamo avere la famiglia e il lavoro, ma riusciremo a goderne veramente solo se prima saremo in equilibrio con noi stessi.
Io non sono felice. Sto vivendo una serie di situazioni problematiche che mi portano a distaccarmi dal mio vero io. Non mi permetto di scendere in profondità e capire. Sono stata molto felice qualche anno fa, nonostante mille cose negative; ora no. Però sento qualcosa di caldo e nuovo che sale dalla pancia. Se ne sta nascosto dietro a un muro che sigilla una grande sofferenza. Non penso di essere ancora pronta a far cadere il muro, ma ci sto arrivando. Allora, spero presto, tutto sarà chiaro.
E voi?

martedì 4 novembre 2014

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